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Le Terme della Villa dei Noni
Fin dal secolo scorso è nota a Predore l’esistenza di una villa romana. Dal 2003, i lavori di riqualificazione della vasta area occupata dall’ex fabbrica Lanza Gomme hanno permesso di scoprire un altro settore della villa.
L’edificio disposto su una superficie di circa 15000 mq si estendeva in direzione nord-sud dai piedi del monte, poco oltre l’attuale strada provinciale, fino alla sponda del lago, che all’epoca era circa 70 m più vicina dell’attuale; i limiti orientali e occidentali erano definiti da due corsi d’acqua, a est dal corso che scende dalla valle Muradella e a ovest dal torrente Rino.
La villa, abitata dal I secolo a.C. al IV d.C., è nota per l’impianto termale, che venne realizzato tra il II e il III secolo. Si ritiene che quest’opera sia da porre in relazione con la presenza a Predore della famiglia del console e senatore Marco Nonio Arrio Muciano, alla quale probabilmente apparteneva l’abitazione, che era dotata di mosaici rinvenuti nel corso delle ricerche e di scavi occasionali.
L’area delle terme è oggi visitabile. In situ è stato realizzato un antiquarium che permette di affacciarsi direttamente sui resti e di seguirne lo sviluppo da destra, subito dopo i pannelli illustrativi.
La realizzazione delle terme nell’area occidentale della villa comportò notevoli interventi architettonici che modificarono la struttura edilizia precedente, di cui poco si conosce. Le evidenze murarie delle prime fasi, di I secolo a.C. e di I secolo d.C., si conservano parzialmente e solo a livello di fondazione, in quanto ancora inglobate oppure ricoperte dalle fasi successive.
Gli ambienti termali seguono lo schema classico: parte da nord-est con il calidarium, composto da quattro ambienti, rettangolari e adiacenti, dotati di un riscaldamento a ipocausto. Il sistema a ipocausto prevedeva la circolazione di aria calda nell’intercapedine formata tra due piani pavimentali separati da pilastrini circolari o rettangolari in mattoni, disposti a intervalli regolari (pilae). L’aria calda proveniva da un unico grande forno (praefurnium) al quale si accedeva da un vano ipogeo: in esso è stato rinvenuto uno strato di ceneri spesso un metro che testimonia l’uso prolungato dell’impianto. Tale strato arrivò persino a occludere il vano d’accesso, per cui fu necessario creare un nuovo ingresso con una scala discendente, visibile nell’angolo nord-est della stanza. È ancora da comprendere la ragione per cui non venissero rimossi i resti della combustione; tra questi sono stati riconosciuti resti di olivo, la più antica attestazione della coltivazione dello stesso nella zona dei grandi laghi prealpini.
In una fase successiva venne demolito il perimetrale sud-ovest dell’edificio per costruire il complesso tepidarium - frigidarium. Il primo, una stanza a temperatura moderata, aveva forma circolare e fungeva da cerniera con la nuova ala, disassata verso est di circa 15°. Il frigidarium, così detto per la presenza di acqua fredda, è una stanza rettangolare, in origine dotata di una copertura pavimentale e parietale in lastre di pietra e di una fontana nell’angolo nord-ovest, di cui rimangono resti di fistulae di piombo (tubi di conduttura dell’acqua) e la traccia sul piano pavimentale. Il frigidarium, infine, si apriva a sud verso la natatio, grande vasca rivestita con grosse lastre squadrate di pietra bianca locale.
Tra i reperti esposti nell’antiquarium è degno di nota un mattone con una faccia coperta da vari graffiti (sequenza alfabetica, numeri, segni non interpretati), frutto di un’esercitazione scolastica: i mattoni infatti, durante la fase di essicazione, fungevano da supporti scrittori. Di particolare rilievo una scritta riferibile a un componimento in cui viene citato il dio Nettuno, il cui culto era diffuso in area cisalpina, dove veniva associato alla presenza di fiumi e laghi.
Chiara Ficini