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“I ca-aler? Du mis de galera!” (I bachi da seta? Due mesi di galera!)
La seconda tappa del nostro viaggio nelle terre del Parco Adda Nord, è dedicata alla gelsibachicoltura, simbolo della laboriosità di questi luoghi.
Anche questa volta abbiamo trovato ritmi, gesti, riti, luoghi di lavoro comuni a tutto il territorio. Persino le stesse parole nei dialetti: “murum, moron, murù” sono i gelsi, “cavalee, bigatt, ca-aler” sono i bachi da seta, o meglio le uova dei bachi, “galètt o galétta”, sono i bozzoli. A giugno, in particolare a Monte Marenzo il 29 giugno, festa di San Pietro, i bachi venivano raccolti e consegnati ai consorzi e alle filande. Era il momento in cui i contadini potevano tiare un sospiro di sollievo perché i proventi della vendita dei bachi erano la prima entrata sicura della famiglia (da qui forse anche il detto “andà a catà i galett,” cioè fare tanti soldi). Siamo alla fine di un periodo ricco di sacrifici per le famiglie contadine, iniziato 40-50 giorni prima, nel mese di aprile nel milanese, nel mese di maggio nel lecchese.
Durante i famosi “due mesi di galera”, le attività principali della famiglia si spostavano all’esterno della casa, camere da letto e cucina venivano lasciati ai ripiani su cui venivano adagiati i bachi. Donne e ragazze dovevano pulire i bachi dai loro escrementi ma soprattutto dovevano nutrirli, più volte al giorno e di notte, con foglie fresche, pulite e asciutte di gelso. Le uova, dopo essere state comprate presso appositi consorzi o mercati, come quelli di Inzago o di Merate o fiere famose, come quella del santuario della Madonna del Bosco ad Imbersago, venivano benedette dal parroco presso le famiglie o in chiesa e iniziavano a trasformarsi prima in baco poi in bozzolo. Era questo il momento della festa: i bozzoli venivano lisciati e avvolti in grandi fagotti con le lenzuola più belle, quelle della dote, per non rovinarli e per non fare brutta figura.
Gli uomini li portavano, in spalla o dentro le gerle, prima a piedi poi sul carro, al consorzio o alla filanda, che impiega soprattutto manodopera femminile. Donne, adolescenti, bambine si alzavano all’alba e camminavano per circa un’ora, lungo le strade di campagna. Facevano rumore perché avevano gli zoccoli ai piedi, pregavano o cantavano, così passavano la paura del buio e la stanchezza. In filanda si lavorava a lungo, senza sosta, fino al giorno del parto. C’era un forte odore di farfalle in decomposizione: per evitare che i bozzoli venissero bucati, venivano immersi in grosse vasche di acqua bollente o essiccati nei forni. Le mani, per ottenere il prezioso filo, entravano spesso in contatto con alte temperature, il rumore dei macchinari non permetteva di parlarsi, e allora, soprattutto quelle brave, precise e veloci, cantavano e pregavano.
Emblemi di questo perduto passato sono il gelso monumentale di Cassano d’Adda, uno dei pochi sopravvissuti dei 4500 gelsi censiti nel 1725, e il museo della Seta Abegg di Garlate, il primo museo scientifico al mondo, dedicato al settore della seta. Qui potrete rivivere le storie di tante donne: non solo perché il museo è fisicamente ospitato all’interno dell’antica fabbrica, non solo perché potrete vedere da vicino gelsi, bachi, bozzoli e macchinari in funzione, ma soprattutto perché grazie al progetto voci dalla filanda potrete ascoltare le testimonianze di chi qui ha lavorato e ha vissuto quei “due mesi di galera.”
Testo a cura di CLAUDIA GEROSA, guida abilitata ConfGuide-GITEC
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