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Monastero di San Pietro in Lamosa
Fondata su un rialzo roccioso che domina le Torbiere, e legata anche nel nome (Lamosa) alla natura paludosa dei luoghi, San Pietro è la più antica e l’unica ancora riconoscibile delle fondazioni cluniacensi del Sebino.
Nel 1083 Teobaldo e Oprando de Tocingo, appartenenti all’aristocrazia lombarda, donarono al monastero Cluny la chiesa di San Pietro di Provaglio: dal testo dell’atto si può immaginare che la chiesa (che si dice consecrata e hedificanda) fosse stata avviata nella parte presbiteriale e che vi fosse stato consacrato l’altare, mentre non erano ancora state costruite le navate. Le indagini archeologiche hanno consentito di riconoscere l’impianto originario dell’edificio a tre navate di quattro campate e tre absidi, con un atrio chiuso antistante la navata centrale. Sul lato nord dell’edificio alla fine del XII secolo venne aggiunto un annesso, probabilmente un oratorio dedicato alla Vergine.
Dopo una lunghissima crisi, i monaci cluniacensi lasciarono San Pietro nel 1476 e la chiesa assunse funzioni parrocchiali, con conseguenti ingenti trasformazioni, ma le fasi medievali sono ancora ben leggibili. Giungendo da ovest è evidente l’abside minore, edificata in blocchi di pietra locale tagliati e sbozzati, scandita da lesene e terminante con una cornice ad archetti di cui resta l’impronta. All’abside si addossa l’annesso costruito in corsi regolari di blocchi squadrati, terminante con una ricca cornice visibile sul fianco nord. Sulla facciata molto rimaneggiata si osserva il portale in blocchi monolitici, corrispondente al portale del vestibolo. Il perimetrale sud della chiesa del 1083 è visibile dal chiostro, come i livelli inferiori del campanile. Alla chiesa cluniacense appartengono anche i due rilievi a intreccio (XI secolo) collocati nel chiostro, che dovevano fare parte forse della recinzione del presbiterio.
All’interno della chiesa, che ora presenta un’articolazione quattrocentesca ad aula con copertura ad archi trasversi, è tuttora possibile osservare la ricca decorazione pittorica (XII-XIV secolo) dell’annesso nord: le pitture parietali più antiche sono la Vergine annunciata (a fianco della monofora tamponata) databile tra XII e XIII e le decorazioni, a racemi e figurative, della cappella; altri lacerti sono, invece, celati nel sottotetto.
Nella porzione superiore della terza campata destra (dal presbiterio) un’Annunciazione, seppur mutila, testimonia il livello della cultura artistica delle maestranze qui chiamate ad operare: il brano è un pregevole esempio degli influssi toscani, mediati tramite la produzione veronese, in questo lembo del lago. Un poco più in alto, verso sinistra, vi sono i resti di una Madonna con Bambino con un pappagallo (fine XIII secolo) e il volto di una Madonna (XIV secolo). Su varie fronti dei pilastri che reggono gli arconi del tetto sono affrescati singoli santi in finte nicchie molto simili tra loro: in questa serie di opere si è individuata la mano del pittore provagliese Domenico Toselli. Il dato è utile per i possibili confronti con altre opere del Sebino tuttora prive di paternità. La maggiore parte degli affreschi che coprono le pareti sono databili tra la fine del XV e i primi due decenni del XVI secolo; molti di questi conservano anche l’iscrizione dedicatoria del casato che li ha voluti.
Il netto stacco rinascimentale è introdotto nella quarta cappella sinistra: la volta a ombrello è affrescata nei primi decenni del ‘500 da Paolo da Caylina il Giovane con Evangelisti e Dottori della Chiesa, mentre nelle lunette trovano spazio sibille e profeti, la regina di Saba, Salomone e la Sacra famiglia. Nell’altare, con paliotto in scagliola e cornice lignea, è collocata la tela, attribuita a Francesco Giugno, con il Ringraziamento alla Madonna del Rosario in cui compaiono il doge, don Giovanni d’Austria e papa Pio V, chiaro riferimento alla battaglia di Lepanto del 1571 [Itinerario G].
Pregevole è il ciclo di affreschi dell’Historia salutis (XV-XVI secolo) nell’attiguo oratorio di Santa Maria Maddalena, sede dell’omonima disciplina.
Monica Ibsen, Federico Troletti