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Il tesoro segreto di Inverigo
Riservato agli amanti del Paesaggio che, pur nel silenzio, racconta mille storie.
Si preannuncia da lontano Inverigo, con la sua Rotonda che domina le colline nel cuore della Brianza, dove un grande lago glaciale, ormai prosciugato, aveva dato forma a quell’ampia valle in cui scorre il Lambro e su cui si affaccia come da un balcone.
Da qui l’occhio spazia libero, sorvolando il verde della vallata punteggiata dai tetti sparsi delle case di campagna, fino alle Grigne.
Il pensiero torna a quell’antico lago che, con il suo fondo argilloso, ha alimentato per secoli le fornaci in cui furono prodotti mattoni, tegole ed in generale quei laterizi tanto tipici dell’architettura lombarda da diventare un carattere fondamentale del suo paesaggio.
Il treno, che qui arriva dal 1879 e che oggi trasporta lavoratori pendolari da e per Milano, un tempo alimentava il traffico di Milanesi che iniziava nel giorno di San Giorgio. Arrivavano per godere d’estate la frescura dei colli di Brianza; chi per un giorno e chi, i più fortunati, per l’intera stagione.
Ha molto da raccontare Inverigo, perché la sua storia è lunga ed antica ma quello che la rende un borgo speciale è un prezioso percorso che attraversa piacevole il territorio comunale aprendosi a scorci di rara e suggestiva bellezza, da godere con gli occhi e con la mente.
Ogni scena apre uno squarcio nel tempo: come la neoclassica cupola della Rotonda, giudicata “degna di un principe” da un giovane Stendhal in visita, ad inizio Ottocento, al Marchese Luigi Cagnola, proprietario ed architetto della villa, oltre che della Milano napoleonica.
Come il Gigante di pietra, con tanto di clava e pelle di leone, che sorveglia una lunga scalinata fra due ali di cipressi fino a Villa Crivelli e ci riporta all’atmosfera agreste di fine Settecento, quando la campagna non era solo un luogo produttivo ma anche di svago, di ricchezza ed eleganza che dai giardini all’italiana o alla francese si estendeva tutt’intorno.
Come il lungo Viale dei Cipressi dal sapore toscano che, attraversando i campi in giugno color del grano, conduce al cinquecentesco Santuario di Santa Maria della Noce dove, nel tempo in cui la Brianza era ancora il regno della seta, uno dei principali mercati di bozzoli animava lo spazio antistante la chiesa. Architettura tutt’altro che minore, voluta da San Carlo Borromeo che incaricò del progetto il suo architetto prediletto, Pellegrino Tibaldi, attivo all’epoca anche nel Duomo di Milano, per arginare nel nome della Vergine l’espansione verso sud della Riforma di Lutero.
Come la tenuta dei nobili Sormani, la Pomelasca, a cui giunge un ombroso e profumato viale di tigli tra il verde dei prati macchiati dalle mucche al pascolo e coronati sulla cresta della collina da una romantica chiesetta rossa inquadrata dai cipressi, così spesso presenti in questo angolo di Brianza.
E per terminare, come il Parco di Villa Sormani, dove sono due insoliti filari di pini marittimi a guidarci fino al belvedere sull’estremo bordo della collina, per lasciarci senza fiato difronte allo spettacolo delle Prealpi lecchesi.
Quadri pregiati che, come in una galleria d’arte, impreziosiscono un borgo e lo spirito di chi lo percorre ma… non lo dire a nessuno. E’ un segreto.
Testo a cura di DEBORA LO CONTE, guida abilitata ConfGuide-GITEC
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