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A spasso nel tempo tra Grosio e Grosotto
Sei pronto per un viaggio nel tempo? Questo è esattamente quello che ho fatto io la prima volta che ho visitato un luogo speciale in Valtellina, in provincia di Sondrio, nel nord-est della Lombardia.
Innanzitutto voglio dirti come arrivare in questo luogo magico: in auto da Milano: con la SS 36 direzione Lecco e proseguire fino a Colico (SS38) direzione Sondrio / Tirano / Bormio uscire a Grosio e da Brescia con la SS 42 direzione Iseo, prosegui per SS39 Edolo / Aprica / Tresenda (SS 38) / Tirano / Bormio. In treno, invece, avrai a disposizione le stazioni di Tirano e Sondrio, ma i collegamenti dalle stazioni con i bus non sono semplici e devi informarti bene sugli orari, soprattutto se viaggi nel weekend! (società STPS Sondrio https://stps.it, Biglietteria di Sondrio: 0342/213170).
Bene, soprattutto se hai affrontato il viaggio giungendo da Milano, ti sarai accorto che il paesaggio di questa zona diventa decisamente aspro e alpino, con molti meno terrazzi abitabili e coltivabili rispetto alla bassa e media valle. Inoltre avrai individuato la confluenza tra la valle principale e la Val Grosina, dove si erge uno sperone di roccia presidiato da un campanile ed un bellissimo castello, quella è la tua meta! È lassù, da dove si gode una vista stupenda, che farai il tuo viaggio nel tempo… piano piano, prima esplorando la zona del cosiddetto “castello gemino” e poi entrando nel vero e proprio parco archeologico.
Più nello specifico potremmo ricordare anche i nomi con i quali questo sito è identificato, in comune di Grosotto si trova il Castello di S. Faustino o castello vecchio (si tratta perlopiù di ruderi di un antico fortilizio di X-XI secolo, tra i quali spicca la torre campanaria della cappella castellana dedicata appunto a S. Faustino e Giovita – sì, c’è anche lui! Ne sanno qualcosa i nostri amici bresciani), mentre in comune di Grosio si trova il “castrum novum”, costruito tra il 1350 e il 1375 per volere dei Visconti (i signori di Milano).
La nuova struttura si adeguava alle mutate esigenze strategiche, visto che già nel 1376 venne usato come base dalle truppe viscontee che, impossibilitate a forzare il blocco di Serravalle, accerchiarono l’ostacolo e percorrendo la val Grosina, calarono su Bormio, conquistando la Magnifica Terra. La costruzione è straordinaria, ricca di torrioni e spazi di manovra, sicuramente è la struttura castrense più articolata della Valle. Nonostante il castello sia stato smantellato nel 1526, quando il governo delle Tre Leghe, nuovo dominatore della Valtellina, ordinò che tutte le strutture militari venissero smantellate, i resti sono assolutamente imponenti e ancora ci si può immaginare come fosse la vita militare nel medioevo lassù.
All’interno dello spiazzo principale del castello nuovo sono stati effettuati degli scavi archeologici per capire qualcosa di più delle genti preistoriche che vivevano già su queste alture solatie, dove hanno lasciato testimonianza della loro vita e delle loro credenze in più di 5.000 petroglifi (=incisioni su pietra) scolpiti nella roccia della Rupe Magna, collocata poco distante dal castello. I lavori hanno rivelato la presenza di un abitato, protetto da murature, che si può far risalire al XVI secolo a.C. e che, mutando nel tempo, prosegue la sua vita fino all’età del Ferro, intorno al VI – V secolo a.C.
Proprio gli abitanti del Dosso dei Castelli sono gli autori dell’opera di incisione della Rupe Magna e di altri massi erratici della zona circostante. La grande rupe, per la forma e la posizione, simile ad una grande, antica balena, ospita infatti migliaia di segni incisi, che ci proiettano direttamente indietro nel tempo.
Nel 1966 il prof. Davide Pace casualmente rinvenne una serie di rocce coppellate (= con piccoli incavi realizzati in esse) sul Dosso Giroldo e tra il 1970 e 1971, portò alla luce alcune figure antropomorfe sulla Rupe. La Rupe è una grande roccia montonata formata da micacisti levigati da ghiacciai wurmiani, modellata oltre 20.000 anni fa dall’azione del ghiaccio che scorreva su di essa trascinando con sé una grande quantità di detriti.
Con la scoperta del sito archeologico e il trattamento di pulitura, restauro, rilievo e catalogazione sia sulla rupe, sia nell’intorno, si è raggiunto il riconoscimento di più di 20.000 figure incise, facendo del sito la terza area alpina per numero e densità di raffigurazioni, dopo la Valcamonica (BS) ed il Monte Bego (Francia).
La maggior parte delle incisioni rupestri è stata realizzata con la tecnica detta “a martellina”, ottenuta picchiettando la superficie rocciosa con uno strumento di pietra, che crea piccole concavità di forma circolare. Un’altra tecnica adottata è quella “filiforme” o “a graffito”: in questo caso le raffigurazioni sono ottenute incidendo la superficie rocciosa con uno strumento a punta.
Per tentare di delineare una datazione cronologica delle incisioni rupestri si è tenuto conto dell’ampio repertorio figurativo camuno con cui quello grosino è stato confrontato, perché le due aree sono accomunate da temi e stili. Al momento gli studiosi hanno individuato quattro fasi istoriative di epoca preistorica: il primo periodo corrisponde al IV-III millennio a.C. (neolitico ed età del rame), il II e il III periodo sono da riferire al II millennio (età del bronzo) e il IV periodo va attribuito all’età del ferro. Le incisioni medievali, sebbene presenti, sono piuttosto rare.
Per quanto riguarda le tematiche, che ci permettono di immaginare alcuni aspetti della vita del passato, possiamo trovare figure di spirali, di collariformi e di rappresentazioni topografiche nel periodo più antico; compare, invece, nella fase intermedia la figura umana, con i caratteristici arti arcuati a U o raffigurata come orante (= uomo in preghiera).
Una misteriosa duplice immagine serpentiforme, che raggiunge i 20 m di lunghezza, è con certezza la figura più lunga dell’arte rupestre alpina e una delle più lunghe del mondo. Molti personaggi rappresentati sono armati di scudi e brevi spade o bastoni, con cui sembrano affrontarsi in una sorta di duello. Infine, nella terza fase, compaiono figurazioni di guerrieri molto schematiche, dove si riconoscono come armi lance e scudi di forma ovale, talvolta degli elmi a calotta. Poche figure zoomorfe (= di animali) compaiono accanto ai guerrieri, anche se campeggiano alcuni cavalieri con addirittura un “vessillo”. Li accompagnano segni legati alla fertilità.
La visita si snoda sul corpo stesso della Rupe, dove si accede scalzi per non rovinare i petroglifi, e piano piano gli occhi si abituano a distinguere le figure incise nella roccia (l’operatore del parco – l’accompagnamento è obbligatorio – favorisce la lettura bagnando le superficie della roccia e indicando le diverse immagini) così da distinguerne i dettagli.
È possibile completare la visita alla Ca’ del Cap, la sede dell’antiquarium annesso al parco archeologico dove sono esposti, oltre ai reperti provenienti dallo scavo, anche alcuni reperti sporadici ( = ritrovati fortuitamente fuori dallo scavo) ma comunque significativi per permettere di collocare le genti che hanno abitato questa zona in contatto culturale innanzitutto con la vicina area della Valcamonica, ma anche con la cultura prevalente nella zona del Trentino Alto Adige e la contigua area elvetica.
Oltre al percorso storico culturale è possibile seguire anche il sentiero “didattico naturalistico” che permette di integrare la visita con spunti di tipo ecologico, geologico e naturalistico. Alcuni punti permettono di riconoscere le caratteristiche del bosco di castagno e del bosco termofilo, con indicazioni sulle molte specie animali e vegetali presenti nell’area.
Testo a cura di SARA NUZZI, guida abilitata ConfGuide-GITEC
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