- Arte e Cultura
Jjagɨyɨ: Air of Life
Cinema permanente
Per il quarto incontro di Cinema Permanente l'artista colombiano Carlos Motta presenterà l'installazione video Jjagɨyɨ: Air of Life, realizzata con Elio Miraña, ELO, Gil Farekatde Maribba, Higinio Bautista, Kiyedekago, Rosita e Yoí nanegü.
Da vent'anni Motta lavora su installazioni collaborative multimediali che tematizzano le esperienze di vita vissuta dei gruppi marginalizzati e gli effetti intersezionali del colonialismo. In questo caso, attraverso il supporto e il coinvolgimento di operatori culturali di diversi gruppi indigeni delle Amazzoni colombiane come i Maguta, i Miraña, i Muinane e i Murui, Motta e i suoi collaboratori hanno investigato la storia coloniale dei collegi fondati dai Cappuccini missionari nella regione e il loro lungo impatto rispetto alla scomparsa delle lingue indigene, l'interruzione della trasmissione delle conoscenze culturali e l'imposizione del cristianesimo quale religione istituzionalizzata. Attraverso canti, narrazioni e artigianato vengono invocate cosmogonie indigene ancestrali, che resistono agli epistemicidi di matrice occidentale per allargare il proprio abbraccio a tutti gli esseri, viventi e non viventi, in una pratica radicale di cura.
L'inaugurazione sarà accompagnata da una conversazione tra Carlos Motta (online) e Martina Angelotti.
L'installazione resterà esposta al Capriccio per due settimane.
Jjagɨyɨ: Air of Life (2023) Carlos Motta con Elio Miraña, ELO, Gil Farekatde Maribba, Higinio Bautista, Kiyedekago, Rosita e Yoí nanegü (Colombia)
Il concetto di jjagɨyɨ in lingua Murui si riferisce ad una storia fondativa condivisa da otto diversi gruppi etnici conosciuti come "i popoli del centro del mondo", e che si immaginano come "i figli di un Creatore". Jjagɨyɨ: Air of Life invoca nel presente, resuscita e infonde nuova vita a pratiche culturali ancestrali. Nell'installazione video a tre canali, che consiste in uno schermo cinematografico e due più piccoli, i collaboratori di Carlos Motta raccontano le loro esperienze dopo l'arrivo dei monaci catalani dell'Ordine dei Cappuccini: una lotta tira-e-molla che continua ad influenzarli nel presente. Le storie di indigenità riescono ad incrociarsi attraverso una varietà di voci che descrivono le violenze, fisiche e verbali, subite. Attraverso la narrazione, l'artigianato, la danza e il canto, i collaboratori partecipano alla protezione e alla sopravvivenza della loro lingua e delle loro pratiche culturali. Il video mostra Elio Miraña, Gil Farekatde Maribba, Higinio Bautista, Kiyedekago, Rosita e Yoí nanegü parlare di come la loro educazione riflettesse la cultura tradizionale, ma che l'ingresso nei collegi e in altre istituzioni coloniali moderne li abbiano costretti ad assimilarsi al cattolicesimo, a parlare spagnolo e ad adottare norme sociali ed aspettative di stampo occidentale. Le sporadiche parole indigene che pronunciano nelle loro frasi rappresentano ciò che non esiste più e che potrebbe potenzialmente essere riesumato. Elio Miraña mette in guardia, dicendo che "molto può essere perso, ma se perdiamo la nostra lingua, perdiamo tutto".
L'installazione offre un'esperienza sia visiva che sonora. Disseminate nei video, riprese del paesaggio amazzonico sono un richiamo alla magnitudine della foresta e alle storie indigene accolte nel suo terreno fertile e verde. Alludono anche all'utilizzo del legno nella creazione di sculture come quelle di Higinio Bautista e degli spiriti che le abitano, siccome gli alberi devono essere benedetti da uno sciamano prima di essere abbattuti. Accompagnando l'immaginario visivo dei video, la vastità dell'Amazzonia e il suono costante emesso da insetti, animali e piante è replicato dalla colonna sonora composta da ELO e dagli inserti della field sound recorder e sound designer Isabel Torres, che aiutano nella trasformazione atmosferica dello spazio. Queste componenti esperienziali sovrapposte definiscono il corpo del visitatore come quello di un ospite, ponendogli la domanda di come intenda relazionarsi allo spazio.