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Itinerario tra i vigneti valtellinesi

Questo percorso inaugura una serie di itinerari parte del progetto InTERRACED – net di Interreg, una collaborazione Svizzera-Italia nata per valorizzare un paesaggio di grande valenza ambientale: il terrazzamento. Tra le varie tipologie di terrazzamento sarà possibile ammirare, lungo questo sentiero, quello tipico del versante retico valtellinese. Queste costruzioni fanno parte della cultura montana della zona e sono testimonianza di tecniche costruttive tradizionali, frutto di impareggiabile conoscenza tecnica, materica e delle specificità ambientali e naturali del luogo. La viticoltura valtellinese è proprio possibile grazie a queste soluzioni ingegnose che addolciscono pendenze proibitive e portano la vite al limite delle sue possibilità vegetative, sfruttando ogni centimetro disponibile del terreno montano per questa coltura. In piazza Matteotti ad Ardenno, incrocio tra la via che porta in Val Masino e la via Duca D’Aosta che porta verso il centro, la comodità di un parcheggio pubblico diventa il punto di partenza del tracciato. La via comunale Duca d’Aosta incrocia sulla sinistra la via Calchera che porta ai piedi del versante. Lungo questa via che sale leggermente s’intravedono i primi terrazzi, molti di questi ormai fagocitati dal bosco. Questo comune è tra quelli che nel passato non ricadevano nell’area Docg per questo è il territorio che più di altri ha perso superficie vitata (oltre 70%). Lungo questa via si possono ammirare anche impianti di uliveti che hanno rimpiazzato i vigneti e hanno il compito di mantenere vivo il terrazzo. Arrivati all’incrocio con via Cavour si prende quest’ultima e si sale tra i vecchi nuclei dai tetti in piode, per poi prendere via Magiasca, che si percorre fino a via Cavallari, da dove inizia la parte sentieristica del tracciato.Il sentiero attraversa in verticale il pendio, tra vecchi terrazzi vitati e impianti a uliveti e frutta varia che, intersecando vecchi nuclei, raggiunge la contrada Gaggio posta a 550 m/slm. Si sale ancora per altri 150 metri di quota, si attraversa il torrente Gaggio e si entra nel territorio comunale di Buglio in Monte. La direzione del sentiero punta decisamente verso est e si attraversa l’abitato di Buglio, posto su una magnifica balconata che domina la piana della valle dell’Adda. Tra vecchi nuclei, prati e boschi si attraversa la val Primaverta per entrare nel territorio di Berbenno in Valtellina.Tra antichi maggenghi e boschi di castagno, dopo circa 2 km, si arriva al balcone della contrada Maroggia. Questa è una tipica e pregevole vecchia contrada, in parziale stato di abbandono, che dà il nome alla sottozona “Maroggia”. Si prosegue attraversando il torrente Vignone e dopo circa 200 m si giunge sul versante terrazzato di Monastero. Le superfici vitate aumentano e si inizia a respirare quell’aria fatta di fatiche antiche e attuali. Dopo la contrada dei Piasci si prosegue sempre verso est, tra piccoli vecchi nuclei, spazi coltivati a prati per giungere nel cuore dell’area terrazzata di Berbenno tra vigneti antichi, qualche nuovo impianto e ulivi. Sempre proseguendo ad est tra fontane e lavatoi si attraversa la parte vecchia della frazione di Regoledo e si prende la stradina detta Credee per iniziare il sentiero che porta al torrente Finale, dove appare la zona degli antichi “Mulini” che offrono uno spaccato di un passato non troppo lontano.Il sentiero ci riporta dentro la vecchia contrada di Polaggia. Si prosegue verso Postalesio tra prati, nuovi vigneti, mirtilli e meleti e si attraversa il torrente Caldenno giungendo al piccolo borgo di Postalesio, per poi puntare verso Castione Andevenno. Appena sopra l’abitato di Postalesio si possono ammirare le “piramidi di Postalesio. Castione assieme al comune di Sondrio, Montagna in Valtellina e Poggiridenti rappresentano il cuore dell’area vitata valtellinese, dove si trovano le più note e conosciute aree produttive Sassella, Grumello e Inferno. Da Castione in avanti, fino a Poggiridenti, si è immersi e rapiti completamente dalla bellezza dei terrazzi e l’azione dell’uomo, che ha rubato alla roccia per coltivare, è percepibile anche agli occhi del distratto. Terrazzi, vecchi mulini, incisioni rupestri, ponti sospesi, castelli medievali, nulla manca in questo tragitto immersi in queste tre aree a docg. Nel comune di Castione e più precisamente nella località Vendolo è possibile visitare il “mulino della Rosina” recentemente restaurato e visitabile. Da Castione verso est si percorrono le frazioni fino a giungere alla località Grigioni e qui inizia il viaggio dentro quella che è ritenuta l’area più pregiata della produzione vitivinicola valtellinese: il Sassella. Terrazzi mozzafiato a strapiombo sulla valle proseguono senza sosta. Prima di giungere Triasso, al confine tra i due comuni e all’incrocio tra via Grigioni e via Moroni, 200 metri ad ovest si può visitare il “Parco archeologico tra le vigne terrazzate”. La frazione di Triasso, già in comune di Sondrio, merita una visita essendo un borgo sospeso nel tempo, al servizio della viticoltura, circondato da castagneti secolari e che nel periodo di ottobre riprende vita durante la vendemmia. Si prosegue lungo la strada delle Sasselle fino alla parte bassa della frazione di Sant’Anna. Siamo nel cuore del Sassella e qui il panorama rapisce il viaggiatore. Si prosegue quindi verso nord raggiungendo la località Mossini. Dal 2021, grazie alla realizzazione della “passerella pedonale sulle cassandre” del torrente Mallero, è possibile arrivare alla località Ponchiera e ritrovarsi sui vigneti dei “Dossi Salati” nel cuore della denominazione Grumello. Il nuovo ponte “tibetano” è diventato in poco tempo un’attrazione meta di turisti che, grazie alla passerella, ha scoperto luoghi e angoli vitati sconosciuti. La strada interpoderale della “Sassina” attraversa in diagonale la parte alta della denominazione Grumello. Il panorama dall’alto permette di vedere la chiesa di Sant’Antonio e il famoso Castel Grumello. La visita al castello permette di ammirare anche la parte bassa della denominazione Grumello a strapiombo sulla valle dell’Adda. Proseguendo il cammino si arriva nel comune di Poggiridenti patria della denominazione Inferno, che si stende ai piedi del viaggiatore in tutta la sua verticalità. Il confine tra Poggiridenti e Tresivio non è percepibile perché i due comuni si abbracciano ed è proprio sul confine dei due comuni che appare in tutta la sua maestosità la “Santa Casa Lauretana”, una chiesa che sembra quasi “stonare” per lo sfarzo e il fascino che emette. Il viaggio continua attraversando il centro storico di Tresivio e, appena dopo l’abitato, il viaggiatore viene colpito dal verde intenso dei meleti. Stiamo, infatti, viaggiando verso il comune di Ponte in Valtellina, paese che per primo, negli anni 50’ ha trasformato il proprio conoide, da prato a meleti, dando i natali alla mela di Valtellina conosciuta anche con il nome di Melavi.Il sentiero si tiene alto sul conoide di Ponte, attraverso meli e vigneti e permette di ammirare fino al confine con Chiuro i tetti in piode di serpentino che caratterizzano questo borgo dalla storia antica. Una visita al centro storico di Ponte è obbligatoria. Il torrente Val Fontana obbliga a percorrere la strada provinciale 21, fino alla frazione Castionetto di Chiuro, per circa 500 metri. Chiuro è da sempre la capitale vinicola della valle. Le maggiori cantine enologiche sono concentrate in questo territorio (oltre 60% dell’intera produzione vinicola) trova qui la sua produzione.Appena a monte dell’abitato di Castionetto merita una visita la “Torre di Castionetto” appartenuta alla famiglia ghibellina dei Quadrio e risalente ad epoca compresa tra il XII e il XV secolo.Dalla frazione di Castionetto si scende verso la Chiesa di San Bartolomeo dove termina il nostro viaggio attraverso la storia e la bellezza di vigneti unici.
Itinerario tra i vigneti valtellinesi

A spasso nella Valle di Fonteno

Questa escursione ci porta dentro la valle di Fonteno, percorrendo l’antica mulattiera “del Torès” (Torrezzo), partendo dal borgo di Fonteno. Raggiunto Fonteno si lascia l’auto nel parcheggio prospiciente la chiesa parrocchiale (606 m).Ci si incammina attraverso il nucleo abitato fino alla piazza Vecchia da cui, lambendo la Chiesetta di S. Rocco, si segue via Campello immettendosi così sulla “Mulattiera del Torès” (segnavia CM 3). Ci si addentra nella valle fino a raggiungere, dopo circa 700 metri, la Chiesetta dell’Addolorata del Santello (701 m, 20’ dalla partenza). Qui nel 1944 si combatté una grande battaglia fra partigiani della 53esima Brigata Garibaldi e nazifascisti. I nazifascisti minacciarono di bruciare l’intero paese, ma fortunatamente ciò non accadde. Sulla stradetta si toccano la chiesetta alpestre del Santello, il Mut e le località di Dis, Sancc, Fidrighì, santella di Falsègn, Crapa, Camonghe, pineta del Largù e il Colet con il monumento ai partigiani e veduta panoramica sulle valli di Fonteno, di Adrara, della Valcavallina e sui colli di S. Fermo (1.281 m, 2 h 15’ dalla partenza). Dal monumento, si prosegue in piano verso Nord, passando sul fianco la sommità del monte Torrazzo, sino a raggiungere il Col del Torès in 20 minuti (Vedi indicazioni).Si prosegue in discesa sulla cementata che porta ai Casei del Torès per proseguire ancora in discesa sino a incontrare, sulla sinistra, il sentiero con segnavia CAI 568. Su questo si prosegue sino a raggiungere il Col de Dis e, poco oltre, si imbocca la nuova strada silvo-pastorale che interessa per intero la valletta di Camanga (segnavia n.5,1 h 10’ dal monumento). Quattordici sono i tornanti che ci aspettano nella discesa che avverrà tra fitto bosco e ampie radure. Passato il bivio per l’azienda agricola “La Flora”, si incontra la Strada del Torès, percorsa all’andata. Un’ultima mezz’ora di sforzo e rieccoci a Fonteno. Per ulteriori dettagli: Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi - tel. 035 983823
A spasso nella Valle di Fonteno

Grande anello del Parco del Curone

Capofila del progetto InTERRACED-net è l’Ente per la Gestione del Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone.   Proprio all’interno di questo parco si sviluppa una rete di 8 itinerari lungo cui si può ammirare il paesaggio terrazzato. Il grande Anello del parco del Curone che parte da Lomaniga è l’ideale per scoprire le specificità dei ronchi e camminare affiancando i tipici muri a secco, filari di vite e coltivazioni di piante aromatiche. Dal parcheggio di Lomaniga, costeggiando il provinciale, si raggiunge il segnavia n.8 per Montevecchia Alta.Si raggiunge la frazione Verteggera, il cui paesaggio terrazzato è rimasto come era anticamente: accessibili solo a piedi, si coltivano rosmarino, erbe aromatiche, alberi da frutta e vite.Il sentiero prosegue in piano immerso nel paesaggio terrazzato, in cui spicca un lavatoio in pietra. Tra le sue pareti cresce una piccola felce capelvenere, che trova l’habitat ideale nelle fessure delle rocce soggette a stillicidio. Ci si inoltra poi in un bosco con prevalenza di querce e castagni fino ad incrociare una stretta strada asfaltata che scende alla frazione Casarigo.L’antica cascina, probabilmente già abitata in epoca romana, sorge arroccata sopra un poggio e coronata da vigneti. Di sotto si allunga la pianura, poco sopra fanno da contrasto i boschi del Parco.Dalla cascina Casarigo una mulattiera con gradinate in pietra molera sale fino alla frazione Galeazzino.Percorrendo i sentieri si osservano i versanti tipici del Parco: i ronchi (i terrazzamenti) sostenuti dalle murature in pietra a secco. Qui le piane dei terrazzi ospitano ancora oggi filari di vite associati alle piante aromatiche tipiche di Montevecchia: la salvia e il rosmarino.Dalla frazione Galeazzino si gode un panorama sulla pianura e fino agli Appennini.Al termine della mulattiera si arriva nella piazzetta di Montevecchia Alta.Qui si trova il Santuario Beata Vergine del Carmelo, una delle chiese più suggestive della Brianza per via della sua posizione in cima al colle.Nei primi anni del Seicento, il vecchio edificio di culto fu abbattuto e in sua vece fu costruito l’attuale santuario in stile barocco, ad unica navata coperta da volte a crociera. Fra gli arredi più preziosi si ricordano il baldacchino del Cinquecento in dorato legno intagliato e la statua lignea della Vergine con Bambino. Dalla piazzetta seguire la palina del Parco con segnavia n. 9 che scende sotto il centro abitato.La mulattiera termina incrociando la strada alla frazione “Oliva”, il cui toponimo fa riferimento alla presenza in passato di coltivazioni di ulivo. Dal lato opposto si risale verso la frazione Pilastrello. Sul ciglio della strada provinciale che porta in Alta Collina, è visibile Cascina Pilastrello, antica dimora contadina, datata 1740. Questo cascinale è attribuibile alla tipologia rurale più comune, cioè quella sviluppata su due piani: al piano terra si trovavano le stalle e al piano superiore il fienile.Proseguendo verso via Donzelli si arriva a Cascina Butto, sede del Parco di Montevecchia e Valle del Curone, da cui si gode di una vista a 360 gradi. Un tempo sulle balze di Cascina Butto si coltivavano ortaggi, cereali e piante da frutta, mentre la viticoltura era sfavorita dall’esposizione dei versanti.Dal parcheggio sotto Cascina Butto, scendere lungo via Valfredda. La strada diventa sterrata e si snoda inoltrandosi in un bosco di latifoglie, con la presenza di querce, nocciolo, sambuco e carpini bianchi.Poco prima del nucleo di Cascina Gaidana, il bosco si apre offrendo un panorama sulla Valle del Curone, in particolar modo sul nucleo rurale di Bagaggera, risalente al Seicento. La località si trova all’inizio del corso superiore del torrente Curone, le cui colline circostanti furono un tempo estese opere di difesa. Il complesso è coronato da campi coltivati, oltre i quali si estendono boscaglie. Dopo circa 500 m si giunge a Cascina Valfredda, che deve nome alle caratteristiche climatiche della zona. Oggi è circondata da prati utilizzati per il pascolo e per lo sfalcio. Un tempo vi era una chiesa con un altare dedicato alla Vergine della Neve. La fontana in pietra adiacente al lavatoio, su cui sono ancora visibili antiche incisioni, è un esempio di riutilizzo di un importante manufatto in epoche successive. La vasca è probabilmente costituita da un sarcofago romano, poi riutilizzato in epoca medievale come altare della chiesetta. Superato il lavatoio, seguire le indicazioni per Cà Soldato lungo il sentiero che si inoltra nel bosco con prevalenza di castagno, farnia e carpino.Dopo lo stagno, si arriva a Cà Soldato. La cascina è adibita a centro Parco e dispone di un museo nel quale vengono proposti gli ambienti e la fauna che caratterizzano il territorio del Parco, oltre agli attrezzi agricoli e della vita contadina un tempo utilizzati. L’origine del nome della cascina, abitata fino al 1987, riporta alla memoria antiche battaglie e la fortificazione romana a salvaguardia di una fornace. Di fronte all’edificio, i prati resistono all’avanzare del bosco. Da qui prendere la sterrata che scende e si inoltra nuovamente nel bosco, come indica il segnavia n. 11 Cipressi – Galbusera Bianca. Attraversare il torrente Curone e giunti all’incrocio proseguire a sinistra.La denominazione della Valle del Curone è la prova della presenza etrusco-ligure in questo territorio. Curone deriverebbe dal nome di una tribù, i Curuni, che stanziandosi avrebbero dato nome alla valle e al torrente. Si cammina lungo una strada immersa tra i prati, mantenuti per la produzione di foraggio da sfalcio e dopo circa 400 m, si incontra il nucleo rurale di Malnido. In tempi remoti, tale località fu il centro di una fornace per la produzione di laterizi. Lo sfruttamento estrattivo ha lasciato ancora tracce visibili della fornace che, preesistente alla conquista romana, si trasformò poi in un complesso, forse il più grande dell’Italia transpadana, per la produzione di embrici e materiale da costruzione.All’insediamento costituito da un vecchio caseggiato, sono stati affiancati edifici più recenti adibiti ad attività agricole.Prendendo la carrareccia con segnavia n. 1 Pianello che risale la valle, si giunge ai ruderi di Cascina Ospedaletto, il cui nome evoca il ruolo svolto dal fabbricato durante la peste seicentesca, dove venivano ricoverati gli infermi. Secondo alcuni l’edificio potrebbe anche aver svolto funzione di accoglienza per i pellegrini di passaggio. Seguendo il segnavia n. 2, il sentiero si inoltra nella vegetazione boschiva salendo per la collina fino a Cascina Scarpada, caratterizzata da una loggia chiusa. Insieme a Cascina Costa sorge in posizione panoramica sulla Valle del Curone. Oggi ospitano un’azienda vitivinicola e sono sede di un agriturismo.Attorno alle due cascine, i terrazzamenti sono coltivati a vigneto. Il percorso continua a mezzacosta con saliscendi, tra vigneti, campi adibiti al pascolo e prati.L’anfiteatro che da Cascina Scarpada si estende fino a Galbusera Bianca, costituisce l’habitat dei prati magri. I prati e i terrazzamenti sono ricchi di specie vegetali termofile. Fra le molte specie che compaiono in questi ambienti spiccano le orchidee. La ricchezza floristica ha anche grande importanza per la fauna. La conservazione di questi ambienti è dipendente dalle modalità di gestione.La cessazione dell'attività agricola riavvia la trasformazione verso il bosco, con la scomparsa di specie di importanza naturalistica, la cui presenza è legata alla pratica dello sfalcio. La Galbusera Nera è costituita da due edifici orientati ad est-ovest. I muri ospitano affreschi ottocenteschi raffiguranti una Madonna e il beato Giobbe. La devozione popolare per San Giobbe è legata alla tradizione della Brianza e in particolare alla bachicoltura. Attorno alla cascina i terrazzamenti sono coltivati a vigneto. Più avanti, collegata a mezzacosta sul pendio, sorge Galbusera Bianca. Il complesso rurale è composto da una casa padronale, tre cascine, una stalla e una chiesetta: insieme formano un borgo noto nel Trecento con il nome di Valbissera. La presenza di un edificio di culto dedicato a San Francesco conferma che in passato era un nucleo insediativo. La spiegazione più plausibile sulla divisione delle due cascine tra bianca e nera si rifà al colore delle uve che vi venivano coltivate.Da qui prendere la mulattiera che sale dopo la Chiesa di San Francesco (segnavia n.11 Cipressi – Pianello). Arrivati di fronte alla scalinata, salire tra i filari di cipressi, architetture vegetali che caratterizzano il paesaggio della Valle del Curone. La loro originaria funzione era quella di individuare i confini di alcuni possedimenti terrieri dell'area lungo il crinale ed i pendii delle colline.La mulattiera segue il crinale fino a risalire una collina piramidale, con gradoni terrazzati lasciati a prato.In primo piano, si staglia il versante sud del Monte di Brianza, una dorsale che con il Parco del Curone e il Parco Regionale del Monte Barro creano un unico sistema che arriva fino a Lecco.Dopo essere scesi dal crinale, il sentiero arriva in località Pianello. All’incrocio seguire il segnavia n. 7 – Missaglia. Più avanti si apre sulla piana di Bernaga e i suoi campi terrazzati, dove più alto sorge il Monastero di clausura delle Monache Romite Ambrosiane.Dopo circa 500 mt. prendere la direzione del segnavia n. 7 – Panoramica – Missaglia. La mulattiera si inoltra nel bosco per poi incrociare la strada panoramica che sale a Montevecchia.Più avanti, seguire le indicazioni per Valle Santa Croce e scendere per la sterrata che si snoda nel bosco fino al fondovalle. Nella valle sono ben distinguibili le localizzazioni delle attività agricole e forestali: sulle pendici scoscese e soggette a rischio di dissesti idrogeologici, domina il bosco visto come sussidio all’attività agricola tradizionale (legna da ardere e paleria ad uso agricolo) laddove la pendenza si riduce, l’attività umana ha creato una serie di terrazzamenti. Nel fondovalle dominano campi coltivati anche se la presenza di boschetti e siepi crea un ambiente variegato di valore paesaggistico e naturalistico. Il nome della valle deriva dalla chiesa rimaneggiata e menzionata già in un documento del 1289 come ecclesia. Il muro di cinta della cappella conserva un’incisione pre-romana, testimonianza degli abitanti di questa valle. Salire di nuovo e prendere il sentiero sui campi terrazzati. Guadare il torrente e inoltrarsi nel bosco fino al nucleo di antica formazione di Cascina Novelè, ancora oggi abitata da più famiglie. L’abitazione a pianta quadrata consta di due piani più un sottotetto colombaio-fienile. Sulla facciata vi è una edicola scavata nel muro che contiene una statua votiva di Sant’Antonio di Padova (protettore dei bambini).La carrareccia arriva a Cascina Bellesina Inferiore, la sola superstite delle due originarie (inferiore e superiore) e ancora ad oggi abitata. Questa struttura in pietra molera si trova in posizione dominante sulla parte sud della Valle Santa Croce. Il portico protegge un’icona dedicata alla Madonna del Bosco.A Cascina Bellesina ha sede un’azienda agricola che si occupa di allevamento di pecore della razza brianzola. Superati alcuni terrazzamenti coltivati a vite, prendere la carrareccia che scende fino al fondovalle e che costeggia Cascina Fornace, oggi completamente ristrutturata. A nord della cascina si trovava la parte rustica, con stalla al piano terra e fienile al primo piano. Ancora oggi si vede il nucleo più antico, cui furono aggiunte altre parti in epoche successive. Prendere il segnavia n. 6 Lomaniga. Qui c’è una croce votiva scolpita nella pietra molera che reca i motivi della morte ed i simboli della passione. Il manufatto risale ai tempi della peste e indica la presenza di luoghi di sepoltura. La strada percorre il fondovalle, costeggiando il torrente Molgoretta e inoltrandosi in un bosco igrofilo, con la prevalenza di ontani neri e frassini. Al bivio, seguire il segnavia 6A Lomaniga e salire da Pianetta Bassa a Pianetta Alta. Giunti alle ultime abitazioni la mulattiera prosegue fino alla località Oliva, da cui con un breve tratto su strada in discesa, si torna sulla strada provinciale e quindi al parcheggio di Lomaniga.
Grande anello del Parco del Curone

Il Palazzo Comunale

Un simbolo della storia della Città
il Palazzo Comunale visto da Piazza Visconti

In Valtellina, nella foresta del Gigiàt

L’autunno in Valtellina è un periodo magico. Questa proposta è tra le passeggiate più semplici del territorio, ma è comunque capace di cogliere pienamente la bellezza dei colori di questa stagione. Si tratta di un sentiero per tutti che parte dal paese di San Martino, entra nella Foresta dei Bagni di Masino fino a raggiungere la vecchia struttura termale.Passeggiando nel silenzio della piccola area boschiva è possibile ammirare alti faggi colorati, enormi massi erratici coperti di muschio verde, betulle dai toni gialli ed immense distese di foglie rosse. La foresta, all’interno della quale ci si immerge, è inserita nel circuito Foreste di Lombardia ed è costituita sia dall’area attorno al Comune Bagni di Masino, sia dalla vicina Val di Mello. Per raggiungere il punto di partenza dell’escursione bisogna imboccare la SP9 e attraversare tutta la Val Masino, fino ad arrivare a San Martino. Giunti in paese è possibile trovare diversi parcheggi a pagamento (7€ al giorno), il più comodo è sicuramente quello posto accanto all’ufficio turistico.Una volta parcheggiata l’auto ci si reca presso l’info point e lo si supera, raggiungendo i parcheggi sterrati posti alle sue spalle. Risalendo l’area del parcheggio si individua facilmente un cartello con indicazione “Bagni di Masino”. Si imbocca quindi l’unico sentiero presente (CAI 455) immergendosi immediatamente nel bosco e passeggiando su uno stupendo tappeto colorato di foglie e muschio. I colori autunnali sono già ben visibili, ma quello che più stupisce sono gli enormi massi granitici interamente ricoperti di muschio verde e disposti in modo sparso tra i grandi faggi e gli abeti. In certe parti del tracciato queste rocce si piegano su se stesse, andando a creare delle suggestive grotte e piccole gallerie che spesso vengono attraversate dal sentiero. Dopo 30 minuti di cammino, in prossimità del camping, si giunge al primo parcheggio della valle. In quest’area il bosco si allarga un po’, aprendo la vista sulle catene montuose che circondano la vallata. I monti non sono particolarmente alti, ma tutte le loro pareti sono letteralmente ricoperte di piccole macchie di colore: gli alberi riescono a crescere sui pendii e in questo periodo le loro chiome dorate danno vita ad uno spettacolo veramente unico. La leggera nebbia che ho trovato durante la mia escursione non ha fatto altro che rendere il tutto ancora più suggestivo. Il sentiero prosegue ora in piano su un’ampia strada sterrata per poi immettersi in un’area piena di ghiaia e rocce. La traccia è però sempre ben visibile e di facilissima percorrenza. Si prosegue in leggera pendenza, tornando ad addentrarsi nel bosco, fino al raggiungimento della strada asfaltata. L’itinerario, quasi per intero, va percorso su un normale sentiero di montagna, ma ci sono un paio di tratti dove è necessario fare pochi metri anche sull’asfalto. Visto che il punto di arrivo è direttamente raggiungibile anche dalla strada, è possibile decidere di uscire dal tracciato per passeggiare lungo la carreggiata. Superato uno stretto tornante della strada, prima di imboccare nuovamente il sentiero che taglia sulla destra in un prato, si può deviare a destra per raggiungere uno dei punti più spettacolari dell’intera passeggiata. In questa zona il bosco si fa praticamente pianeggiante e i piccoli torrenti che scorrono fra le rocce generano delle pozze d’acqua limpida poco profonde. Alzando lo sguardo si possono ammirare una miriade di enormi massi quasi interamente coperti da un mantello di muschio bagnato e, poco oltre, piccoli arbusti, faggi ed enormi abeti vanno a coprire il cielo con le loro fronde creando una magnifica esplosione di verdi accesi, arancioni e rossi intensi. Il consiglio è quindi quello di uscire brevemente dalla traccia proposta e vagare in questo boschetto dai toni fiabeschi per andare a cercare nuovi scorci e colori diversi. Dopo una lunga pausa si può riprendere il cammino, il sentiero in questo tratto inizia a tagliare i tornanti disegnati della strada, permettendo di arrivare molto più rapidamente a quota 1.150 m. Ad ogni nuovo passo sembra che i colori vogliano accendersi sempre di più, ma è quando si giunge nuovamente sulla strada asfaltata che si mostra lo spettacolo più bello della Foresta di Bagni di Masino. Qui l’asfalto viene letteralmente inghiottito da un bosco rosso fuoco, le foglie cadute ricoprono completamente il lato della strada e gli immensi alberi si chiudono su se stessi andando a creare un’enorme galleria naturale. Sembra di essere entrati in un dipinto troppo bello per essere vero e non si può che ammirare a bocca aperta quello che la natura ci sta regalando. Seppur percorrere la carreggiata a piedi sia veramente invitante (lo si farà al ritorno), il sentiero prevede ora di deviare sulla sinistra e inerpicarsi lungo il ripido bosco. Questa è probabilmente la parte più complessa dell’intera escursione, ma richiede solamente pochi minuti di fatica, in quanto il sentiero quasi subito smette di salire per tornare in piano. Il bosco è particolarmente fitto e le fronde degli alberi vi terranno facilmente al riparo dal sole o da una leggera pioggia. Quello che più stupisce però è che un infinito tappeto di foglie rosse copra completamente l’intera area, andando a nascondere quasi interamente il terreno. Questo tipo di situazione ovviamente non può perdurare per molti giorni e bisogna avere la fortuna di esserci verso la fine dell’autunno, prima delle prime nevicate. Camminando in piano si rimane in questo scenario da fiaba per diversi minuti, fino a raggiungere la fine del bosco. Qui inizia un breve sentiero turistico, detto “sentiero sensoriale”, molto largo, che si estende accanto al vecchio complesso delle terme. Il percorso è diviso in nove tappe con apposite bacheche, che riportano informazioni sulla flora e la fauna locale. Uscendo dal bosco si imbocca l’ampio sentiero che svolta subito a sinistra e si porta vicino al torrente. Il tratto è molto ben tenuto: sono presenti diverse panchine dove poter sostare, un corrimano in legno separa il tracciato dal torrente e il fondo è privo di buche o radici. Dopo pochi passi si può già scorgere una bacheca che riporta alcune informazioni utili sul capriolo, il camoscio alpino, l’orso bruno, la volpe, la martora e il Gigiàt. I primi 5 sono animali che popolano queste montagne e che è possibile vedere se si è abbastanza fortunati, l’ultimo della lista invece è una creatura mitologica considerata il simbolo della valle. Da quanto si dice si tratterebbe di un animale enorme e spaventoso, un incrocio fra un caprone e un camoscio, tuttavia le testimonianze non sono molto chiare. Si può vedere una sua rappresentazione sulla parete di un’abitazione all’inizio di via Ezio Vanoni a San Martino. Il dipinto è accompagnato dalla seguente frase: “El Gigiat, nume tutelare de esta splendida valle. Buono con lo homo che natura rispetta, mala sorte a chi lo trovasse non rispettoso. Onori et gloria a chi el vedesse e notizia ne desse.” Proseguendo si giunge in un’ampia radura delimitata sulla destra dal torrente Masino e riempita dagli immancabili massi erratici. Ci sono diversi tavolini con delle zone per cucinare, si tratta quindi del luogo perfetto dove fermarsi per mangiare qualcosa. Al limite del prato si trova l’ufficio turistico e una curiosa costruzione costituita da 4 monoliti, formati dai 4 principali minerali della valle. Quando ci sono stato una leggera pioggerella e il vento freddo non hanno reso la pausa troppo rilassante, in estate però questo luogo è assolutamente perfetto per stare un po’ al fresco e respirare aria di montagna. Prima di tornare indietro è possibile fare una rapida visita alla piccola cascata che genera il torrente. Per raggiungerla basterà superare l’area picnic svoltando sulla destra. Qui un cartello indicherà la presenza della cascata a soli 5 minuti di cammino. Si prosegue quindi in un ampio prato circondato da betulle dalle foglie giallo oro e, dopo una brevissima salita, si inizia a sentire sulla destra il fragore dell’acqua. La cascata non è enorme, ma il contesto all’interno della quale è inserita è veramente splendido: alberi colorati e roccia scura si fondono creando un bellissimo gioco di contrasti, ulteriormente impreziosito dai riflessi azzurri dell’acqua che si accumula in piccole pozze. La cascata è il limite superiore dell’escursione ed ora non resta che tornare al parcheggio. Durante il ritorno è però possibile fare un paio di deviazioni per vedere altri due punti veramente interessanti. Tornando dalla cascata si svolta a sinistra con l’obiettivo di aggirare dal lato opposto l’edificio delle terme. Dopo pochi passi ci si trova davanti ad un antico ponticello di roccia invaso dall’onnipresente muschio, che si arrampica anche qui. Superato il ponte si inizia a costeggiare la struttura delle ex terme fino al raggiungimento di una piccola grotta dove da una fontanella, fuoriesce acqua sorgiva a 38 °C. La leggenda narra che questa fonte fu scoperta da un pastore che, deciso ad indagare il motivo per cui una sua mucca facesse molto più latte delle altre, la seguì in questa zona fino a scoprire che l’animale si abbeverava a questa fonte. Se la storia fosse vera si tratterebbe comunque di un fatto molto antico, le acque termali della valle infatti erano note fin dal 1400 e nel corso dei secoli hanno richiamato nobili da diverse città italiane e svizzere. Lo stabilimento termale dei Bagni di Masino che si vede oggi è rimasto in attività per diversi anni. Dal 2015 la struttura è stata chiusa per via dei rischi geologici dell’area. Dopo essersi scaldati alla fonte si può proseguire fino al raggiungimento di una bacheca con scritto “Val Masino”. Il tratto che segue permette di ricongiungersi con il sentiero percorso all’andata, il consiglio però è quello di svoltare a destra per entrare nel giardino delle terme fino a raggiungere il piccolo parcheggio posto alla fine della strada asfaltata. Questa deviazione dal sentiero sterrato serve a tornare allo splendido bosco rosso ammirato in precedenza. Camminando sulla carreggiata ci si ricongiunge molto più rapidamente al sentiero percorso all’andata e si ha anche modo di visitare per intero questa parte del bosco, che probabilmente è anche la più caratteristica. Prendetevi quindi il tempo di ammirare gli immensi alberi, il bel sottobosco, il tappeto rosso di foglie e le rocce bagnate dalla pioggia e invase dal muschio. Seppur non ci sia un sentiero preciso è comunque possibile uscire dalla strada ed entrare nelle aree più pianeggianti di questo fantastico quadro carico di colore. Dopo una lunga pausa per scattare fotografie si ritorna all’inizio dell’area boschiva e, svoltando a sinistra, si imbocca nuovamente il sentiero dell’andata. In 1 ora circa si giunge nuovamente al parcheggio. - Ph: Stefano Poma
In Valtellina, nella foresta del Gigiàt

Ciaspolare in Valmalenco

Alpe Oro - Alpe Entova - Alpe Palù - Alpe Musella - Alpe Prabello - Lago di Chiesa
Ciaspolare presso l'Alpe Campagneda

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Lago di Garda: terme di Sirmione

L'età romana sul Lago d'Iseo

Il lago d’Iseo ha restituito poche ma significative testimonianze di età romana. Le evidenze suggeriscono una frequentazione prevalentemente residenziale del lago che, per le caratteristiche paesaggistiche e per il clima più mite, doveva essere scelto come sede di ville d'ozio. La posizione, fra Bergamo, Brescia, le colline della Franciacorta e la Valle Camonica, favorì una vivacità culturale e commerciale, soprattutto sulla sponda bergamasca, come testimoniano i ricchi corredi della necropoli di Lovere, con servizi in argento e raffinati oggetti d’ornamento. La necropoli, organizzata a recinti funerari lungo la strada di collegamento fra il lago e la Valle Camonica, fu in uso dalla fine dell’età del Ferro a tutta l’età romana. L’importanza della zona è confermata dalla villa di Predore, di cui si conservano consistenti resti oggi valorizzati in un’area archeologica. Verosimilmente appartenne intorno al II secolo d.C. alla gens Nonia, una delle più potenti e ricche famiglie bresciane, imparentata con la gens Arria, proprietaria fra l’altro della villa di Toscolano Maderno. In posizione più interna, lungo la strada che collegava la Valle Cavallina attraverso Lovere alla Valle Camonica nel luogo oggi occupato da Casazza, si trovava un esteso villaggio di fondovalle, strategicamente posizionato, in uso dal I al IV secolo d.C. che doveva svolgere un importante ruolo di scambio culturale e commerciale nel territorio. Lo confermano i corredi delle tombe trovate non lontano, a Mologno, che annoverano fra i reperti anche due anelli in ambra di probabile produzione aquileiese. Verso nord, dopo Costa Volpino che ha restituito sepolture ed epigrafi rinvenute fra Otto e Novecento nelle frazioni collinari, la testa del lago permetteva di raggiungere facilmente la Valle Camonica e Cividate Camuno. L’antica Civitas Camunnorum è una vera e propria città romana in area alpina, capoluogo politico e amministrativo di un vasto territorio che entro la fine del I secolo d.C. fu organizzato in res publica con autonomia giuridica e amministrativa da Brixia. Fu fondata intorno al 16 a.C. al termine delle campagne augustee di conquista dell’arco alpino. La città aveva edifici e spazi pubblici monumentali: negli anni sono stati riportati alla luce le terme, resti consistenti del foro, domus private, le necropoli e il quartiere degli edifici da spettacolo, con un teatro e un anfiteatro. Gli straordinari ritrovamenti sono valorizzati all’interno di un percorso che si snoda tra il Museo Archeologico Nazionale e i Parchi Archeologici del teatro e dell’anfiteatro e del Santuario di Minerva in località Spinera di Breno. Seguendo il corso del fiume Oglio e muovendosi dalla Valcamonica verso Brescia si arriva a Pisogne. Nella chiesa plebana di Santa Maria in silvis è conservato il blocco centrale di un monumento funerario, riutilizzato come vasca battesimale. L’ara, datata alla metà del I secolo d.C., suggerisce l’esistenza non molto lontano di una villa, rimasta verosimilmente in uso fino al V-VI secolo d.C. quando, analogamente a quanto riscontrato altrove, per iniziativa vescovile e con la collaborazione dei proprietari, sorse una chiesa battesimale preposta alla cristianizzazione del territorio. Il monumento funerario conserva sulle facce laterali due bassorilievi con Eroti con fiaccola accesa, secondo uno schema tipico delle raffigurazioni funerarie. Al centro si legge una dedica al sacerdote del divo Augusto Tiberio Claudio Numa e a una donna di nome Claudia Seconda. L’appartenenza del sacerdote alla tribù Quirina indica il legame con la Valcamonica e il gravitare del territorio verso la Civitas Camunnorum. L’esistenza di ville residenziali sul lago è comprovata dai resti indagati a Marone, loc. Co’ de Hela e parzialmente valorizzati in situ. A Sale Marasino nei pressi della ferrovia sulla riva del lago sono state scoperte strutture murarie, resti di mosaici e materiali riferibili a un esteso edificio di epoca romana. Dalla chiesa di San Zenone proviene un’epigrafe votiva con dedica a Cautopates da parte del duo viro Gaius Munatius Tiro (ora a Brescia), a testimonianza della diffusione in zona dei culti orientali. Sempre da Sale Marasino proviene un’epigrafe funeraria in latino chiusa da tre segni in caratteri camuni. L’epigrafe, datata al II secolo d.C., testimonia il persistere della scrittura indigena durante la piena età imperiale. Un frammento di epigrafe e tombe romane sono emerse anche a Monte Isola. Il centro principale dell’area in età romana doveva essere Iseo. Nei pressi del Santuario della Madonna della Neve, sono emersi a più riprese resti di un edificio romano articolato in più ambienti disposti a diversi livelli su terrazze digradanti verso il lago. Il ritrovamento di elementi relativi al sistema di riscaldamento a ipocausto e di apparati decorativi quali lacerti di mosaico e frammenti di intonaco affrescato colorato, suggerisce il livello qualitativo dell’edificio. Si trattava con tutta probabilità di una villa d’ozio, collocata in uno dei punti più scenografici della zona. I materiali datano al I secolo d.C. la fase più antica dell’edificio. Diverse epigrafi sono state rinvenute nei pressi della pieve di Sant’Andrea a nord del paese, dove sono emerse anche tracce di strutture pavimentali con impianto di riscaldamento riferibili a un edificio di età romana. L’abitato doveva estendersi nella parte più elevata e arrivare fino all’attuale Piazza Garibaldi/Rosa, dove doveva esserci il porto sul lago. Nei pressi dell’attuale via Roma correva un acquedotto di epoca tardo-romana di cui sono emerse le spallette in ciottoli e malta e il rivestimento interno in cocciopesto. Infine i resti della villa di Clusane rappresentano, dopo Marone, il contesto meglio conservato della zona.   Serena Solano  
L'età romana sul lago d'Iseo - Ph: visitlekeiseo.info

Valtellina Nascosta: un Viaggio tra tesori nascosti e sapori unici

Destinazione Bresaola è la campagna promossa dal Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina per raccontare e condividere il profondo legame che unisce la provincia di Sondrio con la Bresaola della Valtellina IGP, salume tipico che parla al mondo di Valtellina.

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