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Lombardia archeologica per tutti: l'ex monastero e l'isolotto
Chi dice che interessa solo agli archeologi? Ci troviamo a Cairate a poca distanza dal Parco RTO (Rile Tenore Olona) e dal Parco Archeologico di Castelseprio-Torba.
Prima dei Romani Cairate era abitata da popolazioni celtiche e gli scavi archeologici del 1981 condotti sotto la guida del prof. Brogiolo hanno evidenziato l’importanza strategica del centro per i Longobardi per controllare le vie che da sud e da ovest confluivano a Castelseprio.
La visita guidata che propongo inizierà proprio qui a Cairate nel monastero benedettino di Santa Maria Assunta per continuare verso il Lago di Varese sull’Isolino Virginia a Biandronno che dista meno di 30 km e dal 2011 è diventato patrimonio mondiale dell’Unesco.
Le origini del monastero sono legate alla figura misteriosa della nobildonna longobarda Manigunda che lo fece erigere quale ex voto dopo essere guarita miracolosamente da una malattia renale, grazie all’acqua bevuta dalla fonte di Bergoro, un tempo nelle vicinanze. In effetti il complesso conserva un sarcofago del III-IV secolo d.C. probabile luogo di sepoltura di una donna riccamente abbigliata.
Per circa un millennio il monastero, che possedeva i 2/3 del territorio cairatese e quattro mulini, è stato il centro economico e sociale di Cairate, vi si accedeva attraverso l’arco trionfale ancora visibile all’esterno; l’arrivo di Napoleone (1799) ne decretò la soppressione con la conseguente vendita all’asta dei beni.
A partire dagli anni Ottanta viene acquisito in più fasi dal Comune e dalla Provincia e inizia finalmente ad essere oggetto di restauri conservativi che terminano nel 2013 svelando molti segreti. Oggi è un importante sito archeologico occupato da un’area museale di grande interesse storico e artistico, mentre la cosiddetta ala di San Pancrazio è occupata dalla sede del Municipio e dalla Biblioteca.
Si accede al complesso camminando sopra i resti a vista dell’abside della chiesa tardoantica. Proprio in quest’area del monastero gli scavi hanno documentato la presenza di murature di una fattoria romana affacciata alla valle dell’Olona, dove venivano conservati cereali, legumi e altri prodotti, usata tra il I ed il IV secolo d.C. Alla fine del V secolo venne ricavata una piccola chiesa funeraria privata che attesta l’avvio di quel fenomeno di cristianizzazione promosso dai ceti dirigenti nelle aree rurali all’interno di ville romane presente in tutto l’Impero e nell’Italia settentrionale.
Qualche passo in più e intravedendo il chiostro su due livelli, ci si addentra nei locali usati come refettorio e sala capitolare caratterizzati da soffittatura lignea sostenuta da colonne in arenaria decorate da capitelli cubici dove saltano subito all’occhio gli stemmi dipinti e scolpiti dei Visconti e dei Cairati.
Il luogo raccolto che segue era una zona dedicata a sepolture di rango elevato: tombe conservate a quota di rinvenimento, tra cui una a vasca dipinta internamente e in posizione centrale, un’imponente struttura costruita con materiale di spoglio, tra cui una stele funeraria ornata dalla ruota solare, coperta da una lastra crucifera.
Un’ampia porzione di muro privato dell’intonaco che dal piano terra arriva al secondo consente di riconoscere la sequenza costruttiva e le numerose trasformazioni avvenute in quasi dieci secoli di storia: è un esempio pratico di stratigrafia degli alzati. Quello che segue era probabilmente l’ambiente più esclusivo del monastero: un grande locale con doppio affaccio verso l’Olona decorato sotto il soffitto da un raffinato fregio della seconda metà del Cinquecento raffigurante putti, scene sacre e allegoriche intervallate da numerosi strumenti musicali a testimonianza dell’elevato livello d’istruzione della committente, la badessa Antonia Castiglioni.
La chiesa ad aula unica, essendo claustrale è divisa in due parti, e l’aula delle monache seppur danneggiata da successivi utilizzi abitativi durante il XIX secolo presenta una parete di fondo interamente occupata da un affresco ora su tela raffigurante l’Assunzione della Vergine dipinta da Aurelio Luini e datata 1560 nella cornice parietale. Nella stessa aula una cripta a sedute testimonia la pratica alquanto macabra della scolatura dei corpi, a cui seguiva il disfacimento e la raccolta delle ossa in sepolture. Tutto ciò ebbe fine con l’editto di Saint Cloud durante la Repubblica Cisalpina.
Si raggiunge a piedi il pontile dell’imbarcadero di Biandronno da cui ci si imbarca per raggiungere l’Isolino Virginia seminascosto dal canneto e immerso dalla vegetazione e dagli uccelli acquatici.
Il nome è un omaggio alla moglie del marchese Andrea Ponti, un tempo proprietario del lago di Varese e dell’Isolino, che venne poi donato al Comune nel 1962 da suo nipote Gianfelice, ultimo marchese Ponti.
L’oasi di pace dalla forma triangolare di circa 9200 metri quadrati è uno dei siti più famosi della preistoria europea perché conserva il più antico insediamento palafitticolo dell’arco alpino sinora conosciuto.
Questo vivace e attivo abitato di capanne su palafitte risale grosso modo al Neolitico Antico (5000-4800 a.C.). Le capanne in legno e paglia avevano caratteristiche comuni, in quanto venivano costruite su una piattaforma sorretta da pali conficcati nel fondo di un fiume o anche nel terreno asciutto. Questi abitati ci permettono di capire la vita delle prime comunità organizzate durante l'età Neolitica e del Bronzo (1000 a.C.), gli utensili che sapevano creare, gli oggetti che usavano. Qui in particolare vennero rinvenuti un vaso a fruttiera, asce in bronzo, un vaso a forma di globo a sospensione.
L’isolotto è un museo a cielo aperto in cui si può passeggiare tra il percorso didattico o inoltrarsi tra gli scavi ancora in corso, mentre il Museo Preistorico, distaccamento del Museo Civico Archeologico di Villa Mirabello di Varese, permette di approfondire alcuni aspetti dell’abitato.
Per i curiosi: tremila anni trascorsi sulle palafitte, area archeologica e ambientale vincolata; ci si troverà nei luoghi dove queste prime comunità organizzate hanno scelto di insediarsi e costruire abitazioni in legno.
Il Lago di Varese ha mantenuto nel tempo il fascino di paesaggi incontaminati, non molto dissimili, in alcuni casi, a quelli dei tempi neolitici.
Testo a cura di BARBARA QUARELLO, guida abilitata ConfGuide-GITEC
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