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Abbazia di Chiaravalle Milano: Visita guidata

Visita guidata all'Abbazia di Chiaravalle, a due passi da Milano
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Teatro Sociale di Stradella

«Un teatro sorto come per incanto e d’un’eleganza che mai ebbe l’eguale» Così le cronache dell’epoca salutarono, nel settembre 1846, l’inaugurazione del Teatro Sociale di Stradella, con le note dell’Ernani diretta da Angelo Mariani, noto maestro concertatore e direttore d’orchestra che tanta parte avrà nel melodramma italiano del ‘grande Ottocento’. Il Teatro venne costruito grazie all’iniziativa di alcuni maggiorenti della città, che avevano costituito, due anni prima, la «Società per l’erezione del teatro». Ne facevano parte: l’avvocato Baldassarre Locatelli, l’avvocato Agostino Depretis, il conte Arnaboldi Gazzaniga, l’ingegner Giuseppe Sabbia, l’ingegner Callisto Longhi, l’ingegner Antonio Visini, l’ingegner Battista Coelli ed “altri nativi del Borgo”. Essi acquistarono, a nome e per conto della «Società degli azionisti», «un sedime della superficie di una pertica circa denominato l’ospizio». Su quest’area progettarono la costruzione del nuovo edificio. La società era composta da 44 azionisti le cui «azioni furono determinate di diverso valore a seconda dei palchetti […] che variava per la diversità dell’ordine, della posizione e anche dell’ampiezza». Il valore complessivo delle azioni inizialmente fu di lire 58.400 e si dichiarava che gli azionisti dovessero «considerarsi proprietari speciali ed esclusivi di ciascun palchetto e comproprietari del comune ed indiviso restante edificio». Costruito su progetto dell’architetto Giovanbattista Chiappa, autore di importanti opere, sia private sia pubbliche, a Pavia, Lodi e Milano, l’edificio ricalca la tipologia del teatro neoclassico in voga nel secolo. Il modello è dichiaratamente il Teatro alla Scala, costruito nel 1778 dal Piermarini.La sede del teatro occupa la parte centrale di un sobrio edificio neoclassico di grandi dimensioni con facciata intonacata e marcapiani. La facciata, concepita per essere vista dalla piazza, è tripartita, con la parte centrale lievemente rientrante e arricchita da un balconcino a balaustrini. Notevole è il portale d’ingresso con sovrastante bassorilievo in pietra con maschere e strumenti musicali a fianco di una lira centrale. Il teatro è organizzato con atrio d’ingresso (da cui dipartono le due scale a rampe curve che portano ai corridoi d’accesso ai palchi), platea a forma di ferro di cavallo e palcoscenico al piano terreno, tre ordini di palchi con balconate di legno e il loggione. Originariamente la platea era chiusa in alto da una cupola decorata, demolita nel 1910, per costruire, su progetto dell’architetto milanese Cesare Brotti, il terzo ordine di palchi e il loggione. Il soffitto è impreziosito da un grande rosone di stile neoclassico. Il ridotto si trova all’altezza della seconda fila di palchi. Questi ultimi sono 44, tanti quanti erano all’origine i soci della “Società del teatro”; i posti attualmente recuperati sono circa 300. Merita sicuramente un cenno il pregevole sipario storico, con scene da I promessi sposi realizzato nel 1846 dal pittore milanese Felice De Maurizio, scenografo, calcografo e incisore, autore della Pala d’altare della Chiesa del Crocefisso di Milano e Conservatore della Pinacoteca di Brera dal 1867 al 1882. Il sipario, realizzato nel 1844, misura otto metri di larghezza e sei in altezza. La scena, che raffigura il matrimonio di Renzo e Lucia, si svolge sullo sfondo del lago di Como e rappresenta i due sposi che, in abiti seicenteschi dai colori vivaci, avanzano al centro del dipinto, preceduti da un gruppo di ‘bravi’ che con lunghi fucili sparano in aria. Gli sposi sono attesi da Agnese, madre di Lucia, e da Fra Cristoforo sulla soglia della chiesa. Da alcuni documenti d’archivio si apprende che la stagione principale, inaugurata nel 1846, era quella d’autunno e nel periodo della vendemmia, quando il concorso dei forestieri era molto alto, si allestivano anche balli e spettacoli di marionette. La peculiarità dell’istituzione era infatti quella di aprirsi a espressioni artistiche variegate ed eterogenee, non solo all’opera lirica, talora con scopi ben precisi e nobili, proposte da circoli locali. Nel 1857, ad esempio, la Drammatica Compagnia Toscana decise di destinare l’incasso di due rappresentazioni – Lo gran Cornelio e La guerra delle mogli contro i mariti fumatori – a beneficio degli abitanti di Portalbera rimasti toccati da una grande alluvione del Po; il Circolo di Ricreazione e l’Unione delle Arti e del Commercio idearono invece a più riprese nel corso delle varie stagioni l’organizzazione di imponenti balli per raccogliere fondi da destinare, gli uni, in beneficenza e, gli altri, alla cassa pensioni della società stessa. In tale contesto la costante attività teatrale aveva favorito lo sviluppo del «Caffè del Teatro» e di altre iniziative come quella del Gabinetto di Lettura che fu il primo passo per la costituzione di una biblioteca. Nel settembre 1899 venne inaugurata una nuova fila di posti a sedere numerata e prenotabile con un supplemento di 10 centesimi al costo del biglietto di ingresso. In tal modo il teatro poté accogliere anche spettacoli sportivi tra cui il saggio dell’Accademia di scherma che fece emergere, tra i suoi tiratori più illustri, il maestro stradellino Luigi Colombetti.Proprio nel 1910, quando si aggiunse il quarto ordine o loggione, il teatro fu luogo della raccolta di fondi da destinare ai senza tetto del terremoto di Sicilia. I gestori organizzarono conferenze, ospitarono la presentazione di brani letterari e favorirono le rappresentazioni drammatiche tra cui quella ideata dalla Compagnia dialettale condotta da Francesco Grassi, padre di Paolo Grassi fondatore del Piccolo Teatro.   L’intensa vita artistica che ruotava attorno all’istituzione incentivò anche la costituzione di compagnie locali: nel novembre 1918 nacque la Compagnia Filodrammatica Città di Stradella sotto la direzione artistica di Ritù Rizzi, compagnia che fu stabile per circa vent’anni, mentre nel 1939 fu fondata, sempre dalla stessa artista, la Compagnia Operettistica Città di Stradella, che debuttò con l’operetta Primarosa di Giuseppe Pietri, mietendo successivamente consensi con gli allestimenti dei più famosi titoli: La vedova Allegra, Il paese dei campanelli, Cincillà, Scugnizza, Il conte di Lussemburgo. Tra il 1930 e il 1934 l’attività teatrale fu sostituita da un programma di proiezioni cinematografiche mentre negli anni successivi ogni forma di spettacolo cessò definitivamente a causa degli eventi bellici. Solo nel secondo dopoguerra l’attività riprese con feste da ballo per il carnevale che si affiancarono alle proiezioni cinematografiche.Nel 1949 il teatro fu dichiarato monumento nazionale in quanto considerato «un esempio caratteristico di architettura interna teatrale della prima metà del secolo XIX».‘Bene culturale’ di prestigio, dunque, e, insieme, spazio deputato alla promozione delle attività dello spettacolo, il nostro teatro ha l’ambizione di proporsi come un tassello fondamentale di un progetto di valorizzazione complessiva del patrimonio storico-culturale di un territorio. Non solo, quindi, teatro come spazio di consumo, più o meno tradizionale, ma come luogo dinamico, aperto alle diversità delle arti e alle culture del mondo. Un vero e proprio «cantiere della mente». La costruzione del Teatro Sociale è coincisa con il passaggio di Stradella da borgo a città. Il Teatro è diventato in varia misura, a metà Ottocento, il simbolo del dinamismo economico e della vivacità culturale, di una città che entrava prepotentemente nei tempi nuovi della raggiunta unità nazionale. Una città – scriveva il 20 gennaio 1871, il “Cittadino Vogherese” – che “secondando il proprio genio, ha compiuto da pochi anni opere di considerazione che la fecero salire in molta reputazione di avanzamento”. Ebbene, allo stesso modo, il teatro potrà testimoniare, oggi, di una città (e di un territorio) che, volendo salire ancora “in molta reputazione di avanzamento”, possono – e devono – mantenersi fedeli custodi del proprio passato e del proprio patrimonio storico-artistico ed essere, al tempo stesso, città e territorio vivi, attivi e proiettati nel futuro, sapendo leggere e ripensare con intelligenza la loro storia. A cura di Pierangelo Lombardi  Fonte: www.teatrosocialestradella.it
Teatro Sociale di Stradella

Percorso dei terrazzamenti di Airuno e Valgreghentino

I paesaggi terrazzati esistono da quando i primi esseri umani hanno cominciato a stanziarsi in un territorio scegliendo di abitare i versanti acclivi di montagne e colline scoscese, soprattutto quelli ben esposti al sole. Un incessante opera dell’uomo ha gradualmente addomesticato la verticalità dei pendii, che non avrebbero consentito alcun tipo di coltivazione. La morfologia del territorio locale è stata così completamente modificata per trasformare il paesaggio da ambiente naturale a territorio rurale.Si ritiene che i percorsi di crinale o elevati rispetto al fondo valle siano stati le forme privilegiate nei tempi più antichi per la formazione di insediamenti. I ripidi pendii del Monte di Brianza sono stati oggetto di questa trasformazione soprattutto in prossimità dei centri abitati di mezza costa e alle pendici dei versanti.I nuclei rurali di Veglio, Rappello, Biglio, Campiano, Miglianico e Aizurro conservano ancora il paesaggio terrazzato, purtroppo in buona parte ridotto a causa dell’avanzare tenace del bosco e dell’abbandono dell’attività agricola. Questo itinerario ad anello attraversa tutti questi insediamenti rurali, percorrendo antiche vie di comunicazione, tra sentieri e mulattiere; collegando paesaggi caratterizzati da vaste coperture boschive alternati a paesaggi terrazzati, la cui vocazione agricola è mutata o si è persa nel tempo.Il percorso parte dal parcheggio della stazione di Airuno da cui si imbocca il sottopasso ferroviario e si segue il sentiero n.7. Il sentiero sale ripido per circa un chilometro fino ad incrociare un sentiero a mezzacosta. A questo punto abbandonare il segnavia n.7 e proseguire a destra fino ad arrivare alla cascina Rappello, che potrebbe risalire alla seconda metà del settecento. Sul muro un affresco di San Giobbe, santo protettore dei cavalè, i bachi da seta, ricorda il tempo in cui la bachicoltura, insieme alla gelsicoltura, rappresentava un’importante attività per integrare le magre entrate della vita contadina. I terrazzamenti un tempo erano coltivati a piselli, fagioli, cornetti, patate e porri, prodotti che poi venivano venduti al mercato agricolo di Valgreghentino. In prossimità delle prime case di Aizurro, imboccare il sentiero di sinistra che dolcemente sale fino ad incrociare una strada sterrata che conduce al centro storico.Si hanno notizie del nucleo abitato intorno al 1412: era un piccolo villaggio tipico della Brianza, abitato da coloni e possidenti terrieri. Ancora oggi, il paesaggio conserva la sua vocazione agricola.Giunti in piazza Roma, si arriva a un grande lavatoio ben conservato, un tempo importante luogo di ritrovo per le massaie della frazione. In prossimità della fontana, alla vostra sinistra è visibile una palina con segnavia n.4. L’itinerario continua imboccando la stretta via parallela alla via Tolsera, da cui è possibile godere di un ampio panorama sulla valle dell’Adda, in particolare sul Santuario della Rocchetta, che sorge sulle fondamenta di un antico castello longobardo di cui si hanno notizie già dall'anno 960. La stretta via si ricongiunge poi con via Tolsera e prosegue per una strada sterrata. Il bosco era qui una estesa selva castanile e tracce di terrazzamento sono ancora visibili. Per una larga fascia delle popolazioni del Monte di Brianza, la coltivazione della castagna ha rappresentato un’importante risorsa alimentare che andava ad integrare la povera dieta contadina. Le castagne, vendute nei mercati del Milanese, costituivano un’entrata economica fondamentale per le famiglie. Qui si gode il panorama sulla Valle dell’Adda e sulle Prealpi Bergamasche. Lungo l’itinerario sulla destra si incontrano i primi terrazzamenti, oggi coltivati a zafferano, patate, frumento e una antica varietà di mais, lo scagliolo. Interessante il masso erratico di serpentinite che si trova nel campo al limitare della strada, denominato dai locali “Sass balena” per la sua particolare sagoma.Dopo circa 500 metri si arriva a uno dei più suggestivi borghi rurali del Monte di Brianza: Veglio. Il toponimo potrebbe essere ricondotto al significato di “vegliare”, “fare da guardia”. Dal punto di vista storico, la sua presenza è attestata fin dal 1412. Tutti i campi e i boschi circostanti all’abitato furono di proprietà delle monache della Bernaga (Perego ora La Valletta Brianza). La struttura, antecedente al Settecento, è un raro esempio di abitato montano a cortina chiusa e compatta, che definisce una corte stretta e allungata sulla quale si affacciano gli edifici, costruiti in pietra con piccole e rade finestrature. Attorno, alcuni terrazzamenti sono ancora coltivati come un tempo (i ronchi), a ricordare l’economia di sussistenza contadina: verdura, antiche varietà di frutta e allevamento avicolo. Anche su questi terrazzamenti le coltivazioni erano di piselli, porri, fagioli, cornetti e patate; si coltivava, inoltre, frumento, macinato poi nel mulino di Taiello. La fila di gelsi, ora ridotta a pochi esemplari, costituiva una caratteristica architettura vegetale, che incorniciava l’ingresso di Veglio, a testimonianza della pratica locale della bachicoltura. In un locale della cascina sono ancora presenti dei graticci per l’allevamento del baco da seta. Il percorso prosegue con una visita alla corte della cascina, da cui ci si congeda prendendo le scale che salgono alla nostra sinistra, fino ad intercettare il sentiero che costeggia l’abitato. Proseguire sulla destra.A circa 200 metri alla nostra sinistra in alto sulle balze, si trova una cappelletta votiva dedicata ai morti della peste, il cui affresco appare purtroppo indecifrabile. Il sentiero prosegue salendo fino alle rovine di un vecchio essiccatoio, dove fino ai primi anni del Novecento arrivavano le castagne raccolte nelle selve del monte per essere essiccate, battute e pulite per il commercio nel Milanese. Questo luogo è chiamato “Secaù”.Il sentiero ora sale verso i campi terrazzati, in passato coltivati come quelli di Rappello e Aizurro e ora destinati a prati stabili. Dai terrazzamenti sopra Veglio si apre una notevole veduta panoramica/paesaggistica dalla quale, oltre alle Prealpi e alla Valle dell’Adda, si intravvedono a sud la cima del Monte San Genesio e l’Eremo, mentre a metà costa la piccola frazione di Aizurro con i suoi terrazzamenti. Dopo aver attraversato i campi, il sentiero incrocia una carrareccia che sale ripida verso l’antico nucleo abitativo di Campiano, di cui è attestata la presenza in un atto riferito alla sua selva nel 960. Il suo toponimo significherebbe “campo in piano”. Superato l’abitato di Campiano, cambia il numero di segnavia: non più il n. 4, ma il n.9. Questa mulattiera è un’importante via millenaria di comunicazione che collega a nastro gli agglomerati urbani del monte; in questo tratto attraversa in costa la Valle della Pizza, nome che deriva dalla cima sovrastante. Lungo il percorso sulla sinistra una suggestiva cappelletta dedicata alla Madonna raffigura i morti della peste. Più avanti si incontra uno degli elementi caratteristici del nostro paesaggio rurale: un casotto, in dialetto “cassòt”, ricovero degli attrezzi o avamposto per lo sfruttamento delle risorse legate al bosco e ai terrazzamenti intorno. Nelle vicinanze delle prime case di Biglio Superiore, a sinistra della mulattiera si intravvede un piccolo sentiero che sale sopra un grande pianoro, dal quale si gode una vista imperdibile sul Monte Resegone.Dopo essere tornati sul sentiero principale, il giro vallivo si conclude con l’arrivo a Biglio Superiore, una delle architetture rurali meglio conservate, che documenta il tipico borgo contadino dell’Alta Brianza. L’abitato di Biglio si sviluppa in due parti: una alta, Biglio Superiore e una più bassa su un pianoro sottostante, Biglio Inferiore. Biglio Superiore è ancora abitato e un bel lavatoio, recentemente recuperato, campeggia in mezzo alle case. Poco più avanti si trova l’Agriturismo Il Terrazzo, dove è possibile pranzare previa prenotazione. Scendendo lungo la mulattiera si osserva, oltre al vasto panorama, i terrazzamenti che modellano l’ampio costone tra Biglio Superiore e Biglio Inferiore, oggi purtroppo quasi completamente abbandonati.Due filari di vite di fronte ai campi dell’Oratorio dei Santi Filippo e Giacomo, sono la malinconica memoria di un tempo in cui i terrazzamenti erano tutti assiduamente lavorati a ortaggi, cereali, frutta e vite; coltivazioni che consentivano alla povera comunità di Biglio, di avere l’autosufficienza alimentare. L’architettura del nucleo rurale di Biglio Inferiore risente dell’influenza del Bergamasco e di conseguenza della Serenissima. Le costruzioni sono basse e all’interno si trovano stalle, fienili e ricoveri per attrezzi.I terrazzamenti a fianco dell’abitato di Biglio Inferiore sono coltivati a ortaggi e conservano molti alberi da frutta antica. Un abitante di Biglio Inferiore è custode di questa grande ricchezza genetica e sui suoi terrazzamenti si trovano ancora molte varietà di frutta antica comuni a tutto il monte. A Biglio Inferiore seguire la palina a destra che indica il segnavia n. 4 che ci riporterà a Veglio. Dopo aver lasciato alle spalle l’abitato percorrendo un sentiero in piano, ci si inoltra in un fitto bosco (come indicazione, seguire i segni di vernice rossi lasciati su tronchi e pietre).Dopo circa 15 minuti di cammino il percorso intercetta nuovamente il sentiero che sale a Campiano attraverso i campi. A questo punto prendere a sinistra per tornare all’abitato di Veglio. Qui bisogna costeggiarne fino in fondo le case e a destra dell’ingresso della cascina prendere la mulattiera che conduce alla località di Miglianico (mancano totalmente le indicazioni). La mulattiera, che entrando nel bosco diventa poi un sentiero, scende fino ad arrivare ad un trivio. (mancano indicazioni). Prendere il primo sentiero di destra che dopo circa 15 minuti di cammino arriverà all’abitato di Miglianico. Dal vecchio lavatoio in disuso, proseguire fino alla strada asfaltata. Miglianico è una piccola località del comune di Valgreghentino, la cui vocazione agricola di un tempo è testimoniata dalle cascine e dalla presenza di molti terrazzamenti, quasi esclusivamente ora destinati a prato. Il toponimo fa riferimento alla distanza approssimativa di mille passi romani che lo separano da Airuno. Seguire a destra la strada che costeggia i campi e da cui è possibile ammirare il Santuario della Rocchetta. Lungo il percorso sulla destra, a ridosso del torrente Tolsera, si trova un mulino ormai dismesso. Un tempo i contadini della zona portavano qui a macinare frumento e grano. Proseguire sempre dritti sulla strada, oltrepassare la località Taiello e arrivati all’incrocio con la strada che risale a Aizurro, procedere in salita per circa 200 mt, dove sulla nostra sinistra imboccheremo il sentiero con segnavia n.4 che scende fino alla stazione di Airuno.
Percorso dei terrazzamenti di Airuno e Valgreghentino

Giro delle frazioni di Menaggio

Passeggiata circolare che collega Menaggio con le sue tre frazioni Croce, Loveno e Nobiallo.
Menaggio

Chiesa di San Giorgio a Varenna

A Varenna resterete incantati dall'architettura lombarda del XIV secolo. La maestosa Chiesa di San Giorgio si erge nell'omonima Piazza con la torre campanaria i cui rintocchi animano il borgo di Varenna.
Chiesa di San Giorgio Varenna

L'Antica Strada Regina

A piedi da Menaggio a Rezzonico seguendo il percorso dei pellegrini
Castello di Rezzonico

In bici da Menaggio a Porlezza

Dal Lago di Como al Lago di Lugano lungo le tracce dell' ex-ferrovia
La ciclabile Menaggio - Porlezza

Pausa relax in Lombardia

Centri termali e rifugi. Parchi naturali e agriturismi. Scopri 5 suggerimenti per regalarti una pausa relax in Lombardia
Lago di Garda: terme di Sirmione

Il Triangolo Lariano: i Corni di Canzo

Montagne sorprendenti per chi ama l’outdoor, dalle pareti per arrampicatori ai massi erratici per i boulders fino ai trekking in quota con vista lago
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Il nucleo storico di Sarnico

Sarnico, posta sulla sponda settentrionale della zona in cui il lago si stringe fino a ridiventare fiume Oglio, domina il basso Sebino. Questa delicata area fu oggetto di continua attenzione da parte degli abitanti del lago che regolarono le acque per le attività di pesca, per l’irrigazione della pianura e per il trasporto delle merci attraverso l’Oglio prima e la roggia Fusia poi. All’organizzazione della pesca con le nasse si lega il documento più antico su Sarnico: nell’861 la sua piscaria era donata dall’imperatore Ludovico II al monastero di Santa Giulia di Brescia. Per la posizione strategica al confine con il territorio bresciano, durante il Medioevo a Sarnico si insediarono famiglie feudali di primo piano nel contesto lombardo. A queste, in particolare al conte di Bergamo Giselberto IV, si deve la donazione di Santa Maria di Nigrignano al monastero cluniacense di San Paolo d’Argon nel 1081, con un vasto patrimonio. San Paolo d’Argon avrebbe poi ampliato ulteriormente i suoi possedimenti e nel 1122 la corte di Sarnico comprendeva tre cappelle. I diritti di San Paolo d’Argon passarono poi ai Martinengo e ai conti di Calepio che esercitarono per secoli il controllo su Sarnico e la val Calepio. Il centro venne quindi coinvolto nel XII secolo nelle lunghe lotte che opposero Brescia e Bergamo per il controllo del territorio sebino. Nel Medioevo Sarnico assunse una configurazione con il centro chiuso entro mura con tre porte e dominato dal castello. Delle antiche difese rimangono alcune porzioni di torri e diverse tracce dell’antica recinzione muraria sull’esterno di alcune case. Il cuore antico della cittadina è un groviglio di vicoli e di sottopassaggi, di anguste piazzette, di palazzetti con logge e porticati, di portali con stemmi gentilizi. Tutta la parte antica, situata su una sorta di naturale terrapieno con vista a lago, ruota attorno alla chiesa di San Paolo (ora quattrocentesca ma di origini più antiche) presso la quale si può scorgere una feritoia appartenente all’antico castello. Alle vicende medievali va ricondotta anche la costruzione nel XII-XIII secolo della rocca Zucchelli, che dominava da nord l’abitato e che sorgeva in località Molere: del fortilizio, distrutto e ricostruito più volte, sono ancora visibili i resti in corrispondenza della grande croce sulla cima dell’altura. Dopo la pace di Lodi (1454), Sarnico passò definitivamente sotto il dominio veneziano e la nuova stagione di pace venne interrotta solo per l’attacco e la distruzione del castello (1521) ad opera dei Lanzichenecchi durante la guerra contro Carlo V. Grazie alla nuova stabilità e al favore dei Veneziani, Sarnico consolidò la sua vocazione di centro mercantile. Particolare rilievo assunsero le cave di arenaria, la tipica pietra grigia detta, per l’appunto, di Sarnico che conobbe un ampio impiego nell’architettura civile e religiosa non solo sebina. Fino alla chiusura questi cantieri ospitavano alcune centinaia di cavatori. La cittadina si sviluppò intorno alla piazza sul porto, mentre il cuore religioso – la chiesa di San Martino – era al margine settentrionale dell’abitato: oggi si presenta nella ricostruzione settecentesca che mantenne però parte delle strutture antiche, visibili nelle murature laterali esterne e nella prima cappella sinistra. Nel 1796 Sarnico divenne parte della napoleonica Repubblica Cisalpina: fu sede di pretura (palazzo di angolo tra via Albricci e via Piccinelli) ed ebbe una gendarmeria (nell’ex palazzo Gervasoni, ora Biblioteca e Pinacoteca “G. Bellini”). Nel 1817 fu, quindi, costruito un ponte di legno che collegava stabilmente Sarnico con la provincia bresciana (il ponte in ferro fu posizionato nel 1889). Nella prima metà dell’800 iniziò anche la navigazione lacuale con i battelli, furono migliorati i collegamenti stradali e sistemato il porto e il fronte lago, ma Sarnico veniva ancora descritta come un villaggio con un piccolo territorio assai fertile di ulivi, vigne e gelsi. Nel Novecento la cittadina subisce una nuova trasformazione, legata all’ulteriore sviluppo economico e alla presenza di una famiglia di primo piano dell’imprenditoria lombarda: grazie ai capolavori di Giuseppe Sommaruga per la famiglia Faccanoni, e per l’emulazione che suscitano nella borghesia locale, Sarnico si riveste delle sinuose forme Liberty. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, una serie di nuove realtà industriali ha condotto a un accelerato e massiccio sviluppo urbanistico, accompagnato da interventi per la fruizione turistica della città e del suo fronte lago, come il lungolago. L’impianto urbanistico di Sarnico non è di facile lettura. Tuttavia la visione del paese per chi proviene dalla parte bresciana del Sebino permette di intuire un primo nucleo di piazze e di edifici di epoca ottocentesca e novecentesca ritmati da portici e facciate con lunghe balconate. In corrispondenza dell’attraversamento tra le due coste si aprono le piccole vie del centro storico che salgono verso la parte più antica del borgo. Alla destra del ponte si snoda invece la parte più moderna dell’abitato, che comprende anche i cantieri nautici e i lidi. Qui si segnala inoltre la presenza dell’antico insediamento cluniacense di Santa Maria di Negrignano, trasformato in struttura industriale e recentemente recuperato come spazio per iniziative culturali. Dal piccolo centro urbano è possibile, inoltre, avventurarsi alla scoperta delle piccole frazioni di Fosio e Castione, originariamente appartenenti al comune di Villongo Sant’Alessandro, ma congiunte a Sarnico nel 1929 e oramai collegate al centro senza soluzione di continuità. In località Fosio Fosio, vi era un forno fusorio e il primo mercato cittadino e vi sorge la Cappella dei morti della peste del 1630; il piccolo centro di Castione, da cui si può salire alla rocchetta Zucchelli, conserva la chiesa dedicata ai santi Nazaro e Rocco (con affreschi del XII e del XV e XVI secolo).   Monica Ibsen
il nucleo storico di Sarnico

Il Cammino di San Colombano

La Via di San Colombano è il percorso che, attraversando l’intera area della Lombardia Orientale, conduceva un tempo sino a Bobbio

In bici da Tirano a Sondrio

Scopri le Bellezze dell'Alta Valtellina: I terrazzamenti, il Santuario della Madonna di Tirano, il Trenino Rosso e tanto altro ancora
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