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Pomponesco
Una piazza amata da grandi registi che si affaccia sul fiume Po e racchiude l’immaginario padano: siamo a Pomponesco, borgo gonzaghesco
Stradine e canali, la riserva naturale della Garzaia, l’argine maestro, una piazza ed ecco Pomponesco (MN), un borgo che si specchia nel Po, coi filari di alberi di fronte ai portici.
C’è chi dice che c’è solo la piazza: una piazza amata da grandi registi come Cesare Zavattini, Mario Soldati, Bernardo Bertolucci che ne hanno colto la suggestione scenica.
Piazza XXIII Aprile è «gonzaghesca, simmetrica, teatrale» e riassume l’immaginario padano. Fu voluta dal marchese Giulio Cesare Gonzaga, uomo rinascimentale come il cugino Vespasiano signore di Sabbioneta, che cercò di costruire la sua “città ideale”: per questo nel 1579 Pomponesco diventa oggetto di un riordino urbanistico che ne cambia la fisionomia; il principe dimorò nel castello esagonale, intorno a cui si sviluppò l’architettura squadrata tipica dei borghi gonzagheschi; ma già nel 1593 la corte viene trasferita a Bozzolo avviando il rapido declino, accelerato dalla crisi della navigazione sul Po.
Il castello però venne distrutto dai Francesi; resta la piazza, circondata per intero dai portici; un tempo abitati dai cortigiani, gli edifici sono del periodo 1590-1630 e molti conservano stanze con soffitti in legno, anche se gli affreschi son andati perduti. Le torri campanarie del palazzo comunale e della chiesa di Santa Felicita e dei 7 Martiri si fronteggiano, come in una gara, mentre il volume si restringe in una piazzetta che porta la prospettiva verso l’argine e il fiume, col suo porticciolo e un casotto dove i vecchi barcaioli si ritrovano a discutere: perciò è chiamato “Montecitorio”.
All’esterno del borgo le corti dimostrano l’attività agricola del territorio, come testimoniano i fienili, le aie e le cascine in abbandono che si trovano nelle campagne e ricordano la grande civiltà rurale ormai perduta.
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