Romanino tra il Sebino, la Valle Camonica e la Franciacorta
Nel territorio di Brescia, dove Girolamo Romanino aveva casa, bottega e famiglia, sono conservate molte opere del pittore che consentono di avvicinarsi all’attività lunga e proficua di quello che è considerato uno degli esponenti di spicco della cultura figurativa veneziana di primo Cinquecento. La Pinacoteca Civica, ad esempio, custodisce alcuni dei suoi lavori importanti, mentre altre opere sono distribuite in diverse chiese cittadine, a volte ancora nelle collocazioni originarie. Ma il percorso romaniniano più ricco e interessante può essere compiuto seguendo un itinerario che si snoda fra il bacino del Sebino, la Franciacorta e la Valle Camonica. Si può partire dalla chiesa di San Pietro a Tavernola Bergamasca dove, intorno al 1512, Romanino esegue due dipinti murali raffiguranti una Madonna col Bambino, san Giorgio, san Maurizio e i santi Pietro e Paolo che presentano gli offerenti e una Crocifissione con astanti. Sono gli anni in cui la città di Brescia subisce l’invasione dei francesi che forzerà la fuoriuscita di molti alla ricerca di stabilità politica ed economica. Fra questi Romanino, verosimilmente esule sulla sponda del lago dove aveva trovato rifugio anche il governo provvisorio della città e da cui si muoverà alla volta di Padova. Con ogni probabilità quello di Tavernola Bergamasca non è più da ritenersi l’unico episodio di pittura romaniniana esistente sul Sebino. Recenti studi hanno infatti attribuito al pittore un ciclo antecedente ubicato a Monte Isola nell’oratorio di San Rocco attiguo alla chiesa parrocchiale di Peschiera Maraglio. Le due testimonianze pittoriche documentano l’esperienza giovanile su muro del pittore contraddistinta, in particolare, dall’uso vistoso del tratteggio grafico di finitura eseguito a punta di pennello: una traccia delle abitudini di Romanino, e di molti altri pittori dell’epoca, ad utilizzare le stampe come strumento per formarsi e aggiornarsi e come inventario dal quale trarre non solo modelli figurativi ma anche espedienti tecnici da trasferire in pittura. Nei primi anni Venti del Cinquecento Romanino, impegnato in Brescia, riceve anche incarichi prestigiosi dal circondario. A Capriolo, ad esempio, in Franciacorta, sull’altare della Scuola del Santissimo Sacramento nella parrocchiale di San Giorgio si può ancora oggi osservare una grande tavola centinata raffigurante una Resurrezione. Realizzata intorno al 1525, caratterizzata dall’intensità cromatica e dall’audacia compositiva, l’opera precede di pochi anni una delle commissioni importanti che apriranno al pittore la pista verso il nord della provincia, la decorazione del refettorio della foresteria dell’abbazia olivetana di Rodengo Saiano. L’ambiente era stato completamente rivestito da una zoccolatura e da un’architettura illusionistica ancora parzialmente visibili che facevano da fondale a un programma iconografico attinente al tema dell’ospitalità, connessa alla funzione della stanza. Oggi non è più possibile valutare la portata dell’insieme originario. Nel 1864 il ciclo è stato in parte strappato: due scene con la Cena in Emmaus e la Cena in casa di Simon Fariseo si trovano esposte presso la Pinacoteca di Brescia. In loco sono rimasti una Madonna col Bambino e san Giovannino e due riquadri raffiguranti rispettivamente Cristo e la Samaritana e una Dispensa con stoviglie, oltre a due angeli reggenti lo stemma olivetano sopra una porta d’ingresso. Il cromatismo acceso giocato sui colori contrastanti, la torsione e il gigantismo delle figure e una pittura già ampiamente basata sull’uso di pennellate larghe e mosse, documentano il percorso di evoluzione dei modi esecutivi del pittore alla fine del terzo decennio: i dipinti hanno infatti trovato una datazione concorde intorno al 1528. Si situano invece alla metà degli anni Venti alcuni dipinti murali, originariamente collocati nella cappella di San Rocco adiacente alla chiesa parrocchiale di Villongo San Filastrio. Questi resti di un piccolo ciclo con una Madonna e alcuni santi possono, secondo molti studiosi, essere ascritti alla mano di Romanino. L’attribuzione però non è concorde. Il parere di altri propende per riconoscere nei dipinti e nelle sinopie rimaste sul muro a seguito dello strappo, un intervento del pittore lodigiano Callisto Piazza, in un momento della sua produzione in cui le tangenze di stile e di tecnica con Romanino sono molto evidenti. Romanino risalirà la sponda del Sebino per giungere in Valle Camonica qualche anno dopo. I suoi interventi a Pisogne, Breno e Bienno, considerati in successione secondo l’ordine cronologico, si inseriscono in un contesto che beneficia di una situazione di particolare stabilità politica, sancita dai patti della Pace di Bologna del dicembre del 1529, e di grande risveglio economico. La Repubblica di Venezia aveva di fatto consolidato il proprio dominio sul territorio e avviato politiche di sostegno per i singoli comuni. In questo clima si assiste alla ripresa delle commissioni artistiche e all’arrivo del pittore reduce dai lavori nel Magno Palazzo di Trento e in una dimora a San Felice del Benaco. Ciò che qualifica anzitutto i cantieri di pittura murale di Santa Maria della Neve a Pisogne, di Sant’Antonio a Breno e di Santa Maria Annunciata a Bienno è il loro carattere civico e comunitario: i tre lavori sono promossi dalle autorità civili delle tre località a nome delle rispettive comunità che esercitano patronato pubblico sugli edifici e caratterizzati come uno sforzo significativo di aggiornamento dell’apparato decorativo già esistente. La datazione degli interventi non è direttamente documentata, ma è legata per Pisogne a un credito contratto da Romanino nel 1534 con i committenti, per Breno alla traslazione nel 1535 del Santissimo dalla Parrocchiale a Sant’Antonio, per Bienno alla risoluzione nel 1540 di una disputa sulla proprietà della chiesa. A Pisogne i dipinti, estesi sull’intero corpo della chiesa, propongono un programma incentrato sulla Storie della passione e della resurrezione di Cristo. A Breno, nel coro, si dispiega un ciclo con episodi salienti del Libro biblico del profeta Daniele dedicato alle vicende esemplari dei re Nabucodonosor, Balthasar e Dario il Medo che sperimentano la facoltà divina di dare o togliere il regno in funzione dell’esercizio più o meno corretto del potere: un significato che risulta direttamente collegato alle funzioni politiche della chiesa, luogo di investitura del Capitano di Valle nominato dal Senato della Repubblica di Venezia. A Bienno, i soggetti sono ricavati dalla narrazione della vita della Vergine compresa nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine e sistemati nel presbiterio con un’insolita disposizione a chiasmo che trasgredisce l’ordine scritto. I tre cicli sono caratterizzati dall’impiego libero dei mezzi pittorici: le forme anatomiche distorte, i tocchi di colore saturo, l’ampio uso della pittura lasciata abbozzata, l’intonaco a vista, documentano l’avvio di una nuova stagione espressiva del pittore. Si tratta di una scelta che testimonia la volontà di esibire il virtuosismo di una pittura immediata e sprezzante, che costituisce uno degli orientamenti più aggiornati e innovativi della cultura degli anni trenta del Cinquecento evidentemente apprezzato dai committenti camuni. Oltre ai dipinti murali, in Valle Camonica è custodita presso il Museo Camuno di Breno una tela con Cristo Crocifisso collocabile al 1550. L’opera è dipinta da entrambi i lati. Sul retro è osservabile un abbozzo con la Madonna col Bambino e santa Caterina lasciato incompiuto da Romanino, come mostrano diversi pentimenti. Nella stessa sala sono esposti anche due frammenti ricomposti di una tela a tempera con Teste di prelati che in origine avevano verosimilmente la funzione di anta d’organo. L’attribuzione del pezzo è ancora oggi dibattuta fra Romanino e Callisto Piazza. Sempre a Breno, in San Valentino, si trova una tavola con una Madonna col Bambino e Giovannino tra i santi Valentino e Maurizio da alcuni ritenuta un’opera giovanile del pittore. Sara Marazzani